minidiario scritto un po’ così di un breve giro per verificare se la semiotica strutturale delle origini è ancora praticata: due, notti quasi bianche, la storia sono loro, cibi con patate, diversità programmatiche tra noi e i compagni ferrovieri lituani

La cosa che balza letteralmente agli occhi è che il sole tramonta alle dieci e sorge alle cinque, di fatto proiettandoci in giornate da diciassette ore. Anzi di più, perché c’è chiaro per un po’ sia dopo che prima, diciamo che bisogna scordarsi di andare a letto col buio e alzarsi col chiaro, andando a occhio. La cosa cui è invece impossibile non pensare è la questione dell’indipendenza delle repubbliche baltiche, citata e ricordata ovunque. Indipendenza che si declina nei secoli, perché mai conquistata in maniera definitiva né stabile. Per restare alla Lituania e agli ultimi secoli, nel 1863 e nel 1918 la riguadagnò dalla Russia e dall’Unione sovietica per poi perderla nel 1939 con la clausola segreta dello scellerato patto Molotov-von Ribbentrop. Non fu, infatti, solo la Polonia a essere spartita ma le repubbliche baltiche furono annesse all’URSS senza reazione inglese o francese. In Lituania cominciò allora un movimento di resistenza armata che avrebbe capitolato solo nel 1953, abbattuto dagli arresti e dalle esecuzioni. Impressionante. Fino alla seconda metà degli anni Ottanta, e questo mi colpisce perché c’ero e ne avevo capito ben poco, fu di fatto un’occupazione armata sovietica ai danni delle tre repubbliche, l’unica occupazione esistente in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. E ancora più oppressiva perché i popoli baltici nulla hanno a che spartire con i popoli russi, né etnicamente, né linguisticamente, né culturalmente. E se ti viene imposta una lingua è già insopportabile, se poi è pure in cirillico la cosa diventa tremenda. Ragazzi, l’ora di storia non è ancora finita, pazientate, io bevo un espresso accompagnato dal tipico bicchierino di acqua in vero stile napoletano.

Dicevamo. Boni, là in fondo, che manca poco. Alla fine degli Ottanta, con la cosiddetta ‘rivoluzione cantata’, sia in modo nonviolento che schierando i carri armati, la Lituania e poi le altre repubbliche riguadagnarono l’indipendenza prima della caduta dell’URSS. Aderirono convintamente all’Unione Europea, all’euro, a qualsiasi tipo di convenzione pur di non sentire mai più parlare dei russi ed è per questo che oggi sugli autobus lituani invece della destinazione c’è una dichiarazione d’amore per l’Ucraina, col cuoricino, e nelle chiese cattoliche e ortodosse le cassette delle elemosine hanno la bandiera gialloblu. Finalmente indipendenti, le tre repubbliche non furono riconosciute da alcun paese al mondo, tranne l’Islanda. Nemmeno da quell’Europa occidentale filoamericana cui ci pregiavamo di appartenere, la libertà altrui conta finché non crea imbarazzo. Caduta l’URSS, allora sì, finalmente le vedemmo.

Dell’Unione sovietica rimane poco, a parte l’architettura, casermoni nelle periferie che sembrano un glitch nel Matrix, qualche piatto commisto e i binari a scartamento aumentato tipici russi. Nel senso: i binari sono più larghi dei nostri, di conseguenza anche i vagoni, che hanno quattro posti per lato e sono davvero enormi. Tra le leggi della Storia, quella del non invadere mai la Russia ha anche a che fare con questo, ovvero che i nostri treni non vanno sui loro binari e i nazisti dovettero fare grandi trasbordi e inventarsi certi carrelli-adattatori per far salire i propri. Per ragioni commerciali, i lituanesi hanno mantenuto parte della vecchia rete per comunicare a est ma le nuove ferrovie hanno lo scartamento europeo. Per questo, ecco la mia foto qui sopra, nelle stazioni i binari hanno buffamente un largo spazio vuoto a fianco. E se scendi dalla parte sbagliata muori.

Non è che pensare alla resistenza – e qui noi italiani caschiamo nell’equivoco – implichi valori politici e morali di sinistra. Anzi, essendo l’occupante formalmente socialista qui la resistenza fu ispirata perlopiù da valori che oggi chiameremmo cristiano-sociali, per stare alla terminologia del nord Europa. Centrodestra, per capirci. Ma – e anche qui noi fatichiamo a capire – è quella destra democratica, costituzionale, liberale che appoggia e protegge i diritti civili, immigrati, LGBTQ+, minoranze, cioè quella che tanto tanto manca a noi e che baratterei con la nostra destra senza pensarci un minuto. Mi toccherà barattare me e alla fine venire a vivere in posti come questi. Va da sé che la vita per i pochi russi rimasti, perché figli di o nati qui, è piuttosto difficile, l’avevo già visto in Lettonia, spinti ai margini della vita sociale ed economica e spesso senza la possibilità di andare altrove, non essendo riconosciuti come veri russi nemmeno di là.

Dato lo sforzo, mi merito un piatto tipico lituanico e opto per le bulviniai blynai, polpettone frittellone piatte di patate con poca poca salsina yogurt a fianco. Buone, peccarità, non fosse che sono sette e grandi, il mezzo chilo di patate secco secco c’è e non è possibile negarlo. Certo, uno potrebbe anche optare per altri piatti tipici: i vedarai, salsicce di patate, i cepelinai, grandi gnocchi di patate, il kugelis, sformato a base di patate… D’accordo, la sto mettendo giù ripetitiva per amor di scrittura, in realtà la cucina lituana è buona anche se, di fatto, è impossibile prescindere dai grandi quattro: patate, barbabietole, zuppe e carne. Io vado d’accordo con tutti, quindi a posto. Anche con le orecchie di maiale affumicate, che si mangiano come le patatine o la cotenna fritta da noi.

C’è un’altra cosa rimasta legata all’URSS e ha sempre a che vedere con i treni: le biglietterie, invariabilmente presidiate da robuste donne sessantenni che non parlano alcunché non sia materno, vendono anche snacks, bibite e specie di menù combinati. Non che non sia utile, uno fa le cose in una volta sola, però mi colpisce, trasmette un’immagine che da noi sarebbe ritenuta degradante per l’azienda e gli impiegati, chissà che casino farebbe la corporazione dei baristi da stazione. Lo stesso accade con i controllori, anch’essi invariabilmente lo stesso tipo di donna, mai visto un uomo, che hanno un cestinello di vimini con dentro due crackers, due merendine e due bibite. Politica aziendale, chiaramente, identica in Lettonia, Bulgaria, alcune stazioni in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e così via.

Ora me ne vado in un negozio di galanterijos, che domani mi muovo e voglio essere elegante. Prima, però, un suggerimento di viaggio, un’ipotesi che chi vuole raccoglie. In treno, oggi va così. Data la politica di espansione dell’UE della rete ferroviaria, e non solo ad alta velocità, è bene tenere d’occhio il progetto di Rail Baltica, ovvero il collegamento Varsavia-Kaunas/Vilnius-Riga-Tallinn-Helsinki, in fase di realizzazione entro il 2026. C’è qualche ritardo, in effetti, ma l’idea avanza. E il progetto prevede ampio uso dei treni notturni, per cui il viaggio si fa interessante. Vado oltre nella proposta. Non è che sia necessario attendere il 2026, i collegamenti già ci sono, semplicemente non è una linea unica e qualche tratta è un po’ vecchiotta, si può fare tranquillamente. Quindi, al giro delle capitali baltiche, almeno fino a Tallinn, io aggiungerei un tratto in partenza, il Berlino-Varsavia, agile e facile da prendere, con tappa intermedia a Poznań (ne avevo detto qui). Molto Brandeburgo, cavoli e pianure, secondo me ne vale la pena. Berlino-Tallinn in treno, un po’ di notte, un po’ di giorno, quasi all’insegna della vecchia Prussia, un modo furbo per capirne qualche bandolo, guardando fuori dal finestrino e camminando per città interessanti e, quasi tutte, di grande fascino.


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