minidiario scritto un po’ così di un breve giro alla carlona: cinque, momenti, istanti, conclusioni, stalle stelle stalle

Questi viaggio sono per me una successione di piccole gioie. Istanti, attimi di perfezione o quasi, in cui mi fermo e focalizzo la sostanza del momento, sono contento se dire felice forse è eccessivo. Sia in negativo, ovvero per l’assenza di qualcosa, non sono in ufficio coi morti, non sono chiuso in casa, non sono più in lockdown, non ho problemi irrisolvibili, sia in positivo, la cosa che sto facendo o vedendo, un incontro, un momento di contemplazione pacifica, un’esperienza entusiasmante. Per lo più si tratta di istanti legati all’essere in viaggio, contemplare qualcosa di bello e di nuovo ma, e qui sta la felicità, farlo potendolo fare a oltranza, senza impegni, appuntamenti, senza doverlo fare col calendario. Oppure scoprire una cosa interessante per caso e dedicarmici con attenzione senza che ne avessi idea prima. Uno dei momenti migliori, l’ho detto in altri minidiari, è la mattina, quel momento in cui tutto è possibile: restare dove sono e perdere tempo, prendere un treno per una destinazione scelta al momento, restare a fare colazione e pensarci dopo, andare, aspettare, salire, scendere. Anche non decidere. Se poi capita di farlo al caffè di una libreria strepitosa appena scoperta, beh, ho la coscienza del momento e me lo gusto fino in fondo.
Senza arrivare a Piccolo, che è una cosa diversa, sono attimi, istanti che sommati danno il tenore al viaggio, al periodo, alla mattina, alla giornata. Poi passano, il trucco è rinnovarli di continuo. Ne ho in mente molti, ricordo per esempio una colazione a ferragosto a Nancy, un momento perfetto di cui mi resi conto proprio in quel frangente. Fattori concomitanti? Mah, difficile dirlo, un bel posto, faceva più fresco che fuori, ma sono cose piccole, un panino al burro, cose in sé da niente ma che combinate, spesso a sorpresa, fanno l’attimo.

Svolto la strada del ritorno ma frappongo Bonn tra il me di ora e il me sull’aereo. Anche in questo caso è una ripetizione ma va bene così, è una città piccoletta con le strutture di quando è stata capitale, palazzi presidenziali, musei sproporzionati, infrastrutture oggi sovradimensionate, Beethoven dappertutto, nella maggior parte dei casi non ne sarebbe contento.

Al cimitero, la tomba della sua mamma. Con un afflato affettivo insospettato, lui la definì «la mia migliore amica» quando morì nel 1787, giovane lui e giovane lei, e la cosa mi rimane in mente. La casa, in Bonngasse 20, non è né modesta né sontuosa e il giovane Beethoven non lasciò Bonn con astio come Mozart Salisburgo bensì perché rimasto solo con due fratelli più giovani a carico, e bisognava tirare la carretta. Per cui, il rapporto della città con il proprio cittadino più illustre non risulta sfrontato come quello di Salisburgo, al limite è un po’ troppo pop, questo sì. E sì che Schumann fece così tanto perché la sua città lo ricordasse, sembrava non volessero, allora.

Ci sono due gradi sottozero, tira un ventone che te lo raccomando, giro un po’ sulle rive del Reno con grande soddisfazione, incontro solo due ragazze che non rinunciano alla corsa o forse si allenano per l’iditarod. Dopo un po’ opto per un museo, ce ne sono due enormi costruiti, appunto, ai tempi di Bonn capitale sul Museumsmeile. Ma le glorie vanno e vengono e restano i musei, gli edifici, ma ciò con cui riempirli nzomma. Quello che scelgo io propone vasti assortimenti di espressionismo tedesco ma è una finta, in realtà è espressionismo renano, parecchio della gloria locale August Macke e molto contemporaneo, anni Settanta e Ottanta. Eh, mica da stupirsi se siamo meno noi visitatori dei custodi, faccio fatica a catalogare come espressionista un’audi completamente spatasciata contro un palo in bella mostra in un cortile del museo. Però le strutture sono straordinarie, provo a immaginare le difficoltà di una cittadina piccoletta che a un certo punto assurge alle glorie di capitale e di centro della Germania occidentale per poi, cinquant’anni dopo, tornare a essere una città mediopiccola abbastanza ininfluente. Difficile, immagino sarà così anche per gli emirati arabi, o forse lo spero, una volta che avremo smesso di usare il petrolio per devastare il pianeta, carburanti e plastiche.

L’attrazione di Colonia, a meno di mezz’ora, è potente, al punto che – e sembra di essere in Italia – non c’è un modo furbo per andare in aeroporto e l’unica sarebbe appunto andare a Colonia in treno e prendere la metro. Per dire. Però è il posto giusto per la conclusione del viaggio, nell’ultimo spezzone appare anche il sole sempre con due gradi sottozero, prima volta in quattro giorni, e non riesco a credere a chi mi racconta che in Italia ci siano venti gradi e fioriture improvvise dappertutto. Piglio su i miei quattro stracci e mi rimetto in riga, torno a casa e sono pronto a scontare nel modo più duro questa mia fugace fuga. E quindi bon, alla prossima.


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