non siamo, no, commossi

Aleardo Aleardi fu deputato del regno di Sardegna ma fu senz’altro, e per questo qualche via lo ricorda, poeta romantico. Ebbe qualche fortuna coi contemporanei fino a Carducci, pur avendo alcune cadute fragorose come l’idillio Raffaello e la Fornarina tanto lezioso da suscitare crisi glicemiche per il cattivo gusto, per poi cadere nel dimenticatoio dei lettori, della critica, degli appassionati, se non di un po’ di odonomastica rimasta lì per pigrizia.
Tra i critici, Vittorio Imbriani, letterato, massimo studioso con Tommaseo della lingua italiana nel secolo, liquidò bruscamente Aleardi con un uno-due da cui era difficile uscirne illesi. Comincia Imbriani:

«Non siamo, no, commossi da chi guaisce quasi femminetta, per quasi carcerazione o non lungo sbandeggiamento, consolato da stipendi malguadagnati».

A Imbriani evidentemente il tormento romantico non piaceva quanto piaceva alle dame della buona borghesia del nord Italia, per cui prosegue:

«Riguardo poi all’ostentarci di continuo quei pochi mesi di prigionia… cazzica!».

E qui, grazie a Imbriani, acquisisco la mia nuova esclamazione preferita. Ed ecco arrivare la stroncatura, che è in effetti un vero colpo di grazia:

«Io non sono tanto offeso esteticamente dal modo in cui se ne parla, quanto moralmente dall’udir tanto baccano per tanta parvità di materia».

Cazzica!

A dirla tutta, Imbriani era un duro e non stroncò solo Aleardi, pesce piccolo, ma Goethe per il Faust e Carducci per la sua biografia, lo sguaiato Giosuè. Su, Aleardi, su, che potrebbe andare peggio.
Anzi no, a legger il giudizio critico di Momigliano, mostro sacro:

«nella sua poesia c’è quasi sempre l’aleardismo, quasi mai l’Aleardi».

E bam! Ciao Aleardi.

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