minidiario scritto un po’ così di un breve giro per vedere la fine estate al nord: tre, dire ovvietà, la Lega che mi piace, inventare cose che già esistevano, nel medioevo erano tutte bestie, mica come noi

Ora non è che arrivo io che faccio Marconi che dice che Bruges è bella. Altro che acqua calda, la sfera è quella dell’ovvio, altrimenti i nove miliardi di turisti presenti e passati non si spiegherebbero. È che è proprio bella, non c’è che dire (e oggi, contrariamente alle mie abitudini, metterò solo foto cartolina per testimoniare). La città medievale all’interno delle mura, o farei meglio a dire all’interno del canale maggiore, il Ringvaart, è intatta, mai distrutta, mai bombardata. Certo, magari un settecento, un novecento qua e là ci sono ma timidi, rispettando il contesto che è davvero incantevole. I canali, costruiti per esigenze commerciali, attraversano tutta la città e mi ricordano altre città, Colmar, Strasburgo, Delft, Utrecht, Gand, per dirne alcune. Le case, di mattoni a punta, mi ricordano invece quelle che ho visto a Danzica, a Lubecca, a Riga e Tallinn, a Toruń. Perché dico questo? Perché ho imparato nel tempo, con fatica, a viaggiare liberandomi del vincolo scolastico di considerare le città e le regioni appartenenti agli stati moderni, ah le tipiche città olandesi!, e a inserirle nel contesto storico e geografico più ampio. Per esempio, le case di Bruges e quelle di Tallinn, che sta a duemilacinquecento chilometri da qui, sono identiche perché erano l’espressione delle gilde commerciali della Lega Anseatica, una proto-Europa unita che arrivava fino a Napoli e oltre che andrebbe insegnata molto molto meglio a scuola. Le somiglianze tra qui e Danzica, in Polonia, sono per esempio molto maggiori rispetto a quelle con, che so?, Reims, che è a duecento chilometri. Ed è un esercizio viaggiante che mi appassiona riconoscere somiglianze e congruità in luoghi che ci hanno insegnato a considerare distinti perché in nazioni diverse. Non era così, non è stato così per secoli. Un esempio lampante? La pianura padana. Andrebbe considerata unitariamente, almeno da Mantova a Ferrara fino a Rimini e invece no, tra Mantova e Modena c’è un confine che ci frena, ci fa distinguere tra Emilia e Lombardia e non ci fa cogliere la relazione secolare tra, per dire, Gonzaga ed Este sugli stessi fiumi.

Niente, mi son dilungato. Come accennavo, Bruges ebbe il proprio periodo d’oro tra Due e Quattrocento, quando divenne il centro commerciale di raccordo tra nord e sud. Le prime navi genovesi e veneziane arrivarono qui nel 1277 e la città crebbe ricca e prosperosa. I tessuti fiamminghi per le lane inglesi, il grano della Normandia, i vini della Guascogna, le spezie dal Levante, era la libera circolazione delle merci, la globalizzazione molto prima della globalizzazione che contestiamo oggi. Il Markt è l’enorme piazza cittadina sulla quale sorgeva un edificio gigantesco che ospitava la gilda dei pescatori, una delle più potenti, il porto in continua espansione, strutture finanziarie e commerciali che diventavano sempre più sofisticate. A Bruges nacque la prima borsa valori della storia, sì, come quella che adesso decide il prezzo del gas ad Amsterdam. C’è un quadro che rappresenta molto bene alcuni elementi importanti dell’epoca, ed è il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di van Eyck (ne ho parlato qui). Van Eyck è un pittore fiammingo che si trasferì a Bruges per l’ovvio richiamo di una città florida e ricca di committenti e ricevette l’incarico dagli Arnolfini di ritrarli in modo familiare nella loro casa; lui, Giovanni Arnolfini, era un intermediario finanziario che gestiva in città gli interessi dei Medici, sì, Firenze, che avevano una banca e prestavano soldi in tutta Europa ed erano interessati, comunque, al commercio dei cuoi toscani fin qui. L’intreccio di interessi e culture era folgorante e, per inciso, van Eyck, ritraendoli, inventò il ritratto familiare e privato, di piccole dimensioni, sconosciuto a noi italiani affogati di pitture religiose gigantesche. Non solo i Medici ma i Fugger e tutti i più importanti banchieri avevano filiali in città e in tutte le città che ho citato prima, in una fantastica rete europea di scambio. Nella Onze-Lieve-Vrouwekerk, chiesa di Nostra Signora, in città c’è una madonna di Michelangelo che i Mouscron, famiglia fiamminga che commerciava in tessuti, acquistarono proprio dall’artista grazie all’intermediazione del banchiere Jacopo Galli, amico di Michelangelo. Capito i giri? In questo senso mi ricollego a quanto cercavo di dire malamente prima: per un Arnolfini o un Mouscron il continente era una cosa unica e rivolgersi a van Eyck o Michelangelo, a Firenze come a Bruges, una cosa del tutto naturale. Memling, altro valente pittore, tedesco ma trasferito a Bruges, dipinse trittici, ritratti e pale d’altare per privati e città in tutta Europa, un vero uomo di mondo come molti di quell’epoca. E noi li chiamiamo secoli bui.

Come tutte le cose belle, prima o poi finiscono. No, non è vero, non finiscono: si trasformano. A fine Quattrocento il canale Zwin si insabbiò e iniziò rapidamente il declino di Bruges. Come abbiamo visto, attenti ragazzi, anche là giù in fondo, in favore di Anversa. Che si pigliò mercanti, banchieri, merci, pittori, rotte commerciali, diamanti e tutto quanto era possibile. Non che Bruges sia sparita, tutt’altro, ma passò dall’essere al centro del mondo dell’epoca a una posizione più marginale, provò a rilanciarsi con i merletti più tardi ma senza grandi esiti. Restava una città ricca, per carità, ma le novità passavano altrove. Fino ad allora, però, erano stati sulla cresta dell’onda, eccome, e ne erano perfettamente coscienti. E quando uno è grande a un certo punto, poi pensa a sé allo stesso modo, anche se le minestre hanno sostituito gli arrosti e se le legioni di servitù sono ora una vecchia fedele beghina traballante. Ancora oggi le iniziative comunali, una statua o un parchetto, sono sottoscritte come S.P.Q.B. che, come tutti sappiamo, significa che sono pazzi questi brugghiani. Anche perché, bisogna dirlo, alle merci si è sostituito egregiamente il turismo, anzi il turista, che spende in waffles, cioccolato, stupidi macarons e le cose vanno piuttosto bene, qui in città.

Cose che faccio io, alcune. Compro due cartine delle Fiandre, una orientale e una occidentale, è una manna perché ce ne sono per i percorsi in bici, a piedi, per interesse, in treno, una meraviglia. Visito un paio di musei e in uno incappo per caso nel reliquiario dipinto da Hans Memling con l’arrivo di Sant’Orsola a Colonia, che mi era servito per raccontare la storia della costruzione del duomo di Colonia (per chi non ne avesse abbastanza di storielle, eccola) e ne sono proprio piacevolmente sorpreso. Poi ho occasione di prendere un caffè lungo con una cioccolataia, nel senso che fa il cioccolato per davvero, e tento di spiegarle la questione del fare la figura del cioccolataio, ma mi rendo conto di non saperla bene nemmeno io. Però apprendo cose sul cioccolato e lei non fa figure barbine. Verso sera, al parco faccio due partite a scacchi su uno di quei tavolini di pietra con la scacchiera con uno sconosciuto. Vinco facile, con manovre asfissianti usando tecniche da grande maestro. Cosa vuol dire che lui ha sette anni? Ma figuriamoci, queste sono le sconfitte che aiutano a crescere. Mi ricordo poi che l’estate scorsa quando raccontavo di essere stato a Bourges in parecchi capivano Bruges, adesso leggo che Bruges è gemellata con Burgos, la confusione regna sovrana. Domani quasi ultima tappa, se c’è tempo racconto di Leopoldo II criminale, della miriade di pittori fiamminghi e delle mascherine. Ma non so, perché sarà un altro posto bello.

A ogni sussulto sovranista, a ogni rigurgito nazionalista, a ogni slogan in favore dell’italianità, io continuerò a spingermi sempre più in Europa, perché quella è la nostra storia. A ogni spinta localista risponderò con tensione comunitaria, perché sono europeo molto più che italiano, concetto bislacco e poco rispondente alla realtà. La mia casa è l’Europa, tutta, le mie radici stanno nella Grecia del quinto secolo avanti Cristo, nella Roma di Augusto e del Rinascimento, nella Parigi del Novecento e nella Londra dell’Ottocento, ad Aquisgrana nel nono secolo, a Wittenberg nel Cinquecento, sui barconi che affondano nel Mediterraneo, in Germania e in Boemia nella guerra dei Trent’anni, ad Austerlitz e a Waterloo, ad Auschwitz, a Milano negli anni Sessanta, a Venezia con la libertà di stampa del Cinquecento, a Siracusa con Archimede e sulla nave sbarcata a Venezia col primo appestato, nelle Fiandre del Trecento e sulle navi della compagnia delle Indie, nella Palermo di Federico II, nella Spagna occupata dagli Arabi, alla stazione di Bologna, a Palos con Colombo, a Bruxelles e Strasburgo nei parlamenti, sulle navi della Lega Anseatica. Non sempre belle, non sempre nobili, ma di certo le mie radici e il mio presente non stanno nelle piccole pretese nazionaliste di donne e uomini piccoli piccoli che nulla sanno di ciò che siamo stati, siamo ora e, soprattutto, vorremmo essere in futuro.


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2 commenti su “minidiario scritto un po’ così di un breve giro per vedere la fine estate al nord: tre, dire ovvietà, la Lega che mi piace, inventare cose che già esistevano, nel medioevo erano tutte bestie, mica come noi

  1. Eheh, ovviamente no. La Meloni resta in sostanza un’incapace arrivista amorale. Quindi troppo inconsistente per togliere qualsivoglia cosa a me o ad altrui. Ci frenerà, questo sì. Ci riporterà indietro, sicuro.

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