la passione di Ali

Nel 1967, il campione del mondo dei pesi massimi fu richiamato alla leva per combattere nella guerra in Vietnam. Il campione rispose di no, adducendo la seguente motivazione:

«I got nothing against the Vietcong, they never called me “nigger”».

Non ho nulla contro i Vietcong, non mi hanno mai chiamato “negro”»). Il campione era ovviamente Muhammad Ali e non sarebbe certo stato mandato in Vietnam, bensì piazzato a qualche scrivania e a combattere ogni tanto, giusto per dimostrare che tutti, proprio tutti, dovevano dare il proprio contributo alla guerra.
Ma Ali si oppose e per quello fu condannato a cinque anni di carcere per renitenza alla leva. Non solo: gli furono ritirate anche le licenze per combattere e fu privato dei titoli mondiali. E ancora: Ali aveva venticinque anni, il che vuol banalmente dire che era al suo massimo atletico come pugile e così avrebbe – come è stato – perso i suoi anni migliori.

Tra i molti che si mobilitarono in difesa di Ali ci fu George Lois che dedicò una copertina di Esquire ad Ali e alla sua condanna:

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Meravigliosa. Ciò nonostante i giudici, la Difesa e le Federazioni pugilistiche furono irremovibili. Ecco le altre due copertine di Lois in difesa di Ali:

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Ali tornò a combattere solo nel 1971, a quasi trent’anni, contro Jerry Quarry e poi Oscar Bonavena. Solo nel 1974 Ali riconquistò il titolo, contro Foreman a Kinshasa, nel famosissimo Rumble in the Jungle, con l’incredibile rope-a-dope.
Questa è storia e il suo rifiuto di combattere è solo uno dei motivi per cui Ali è stato, davvero, il più grande di tutti.

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