minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo dei vaccini: giorno undici. Basta spinta gentile, i vescovi con la spada, vescovati ereditari, un grande pennello per un soffitto grande, Skilton.

Le piccole gioie della vita, sorseggiare un cappuccino da tre quarti di litro la mattina presto osservando la pioggia fuori dalla stazione di Karlsruhe, mentre nelle cuffie suonano Huligani dangereux e They are all in love, decidendo se andare di qua o di là. Di là. Poi parte 9 to 5 cantata da Dolly Parton, che racconta ovviamente del lavoro d’ufficio, e a me pare tutto così distante e così difficile passare una giornata intera seduto su una sedia. Eppure l’altro me lo fa.
Non ho menzionato ieri sera, preso dall’entusiasmo per il Carlstello, la magnifica usanza bavariana di lasciare sul cuscino gli orsetti gommosi, invece di quei cioccolatini sdolcinati o del niente che spesso c’è. La Haribo è di Monaco, lo ricordo, la sua influenza è quindi grande, iddio li benedica. Gli orsetti, essendo frutta, sono un ottimo alimento, come si sa vanno in letargo nel colon e costituiscono la base della colazione dei campioni. Che non è, svelo un grande segreto, il pasto più importante della giornata.

La mia colazione si completa con un buttercroissant, allo scopo di annegare l’antidolorifico, e con il treno per Amburgo. Ma io non vado fin là, anche se Amburgo vale sempre il viaggio, cambio molto prima.

In Germania in questi giorni si sta assistendo, come in molti paesi, al rallentamento del ritmo della campagna vaccinale, nonostante le percentuali raggiunte non siano ancora quelle auspicate. Si comincia a parlare, per la prima volta, dell’introduzione di obblighi vaccinali per determinate categorie, a partire da ottobre, mettendo dunque da parte l’approccio usato finora, la cosiddetta ‘spinta gentile’. La spinta bella forte nel burrone, altro che gentile, questi sono de coccio.
Una cosa che qui ancora fanno, dall’anno scorso, è far compilare il modulo per il tracciamento a ogni ingresso, che sia museo o birreria, non so se come consuetudine o se abbiano, ne dubito, una procedura complessiva che funziona. Sarà, son tedeschi, che hanno lì i moduli.

Nei Lander in cui mi sto muovendo io, Renania-Palatinato, Baden-Württemberg e Baviera, per secoli la consuetudine del governo è stata quella dei vescovi-principi. Ovvero, un vescovo cui, oltre al potere spirituale, è affidato anche quello temporale, su una giurisdizione che non coincide per forza con quella della diocesi. La figura era molto diffusa in tutto il sacro romano impero e non solo. Il modello, dunque, delle città da qui a Vienna è più o meno sempre lo stesso: duomone, palazzo vescovile di rappresentanza a fianco, palazzo in città per le delizie (giardino all’italiana, alcove a go-go per amanti, stanze per figli), fortezza ben munita su colle sovrastante. Perché al primo accenno di casino, ciao. Ora: io non ho alcuna simpatia né per i principi né, tantomeno, per i vescovi. Quando poi le due figure coincidono il mio grado di apprezzamento va alle stelle, li gradisco molto. In questo senso, una cosa di cui sono grato a Napoleone è aver spazzato via tutto questo, rinnovando in tutta Europa la classe dirigente, modernizzando gli apparati statali ed eliminando privilegi feudali davvero anacronistici. Certo, poi faceva ricreare i cavalli nelle chiese ma si sa, le rivoluzioni pranzi di gala eccetera. Non si sottolinea mai abbastanza, secondo me, quanta polvere la rivoluzione prima e le campagne napoleoniche e risorgimentali poi abbiano tolto dal vecchio continente, ideologicamente e concretamente. Gli stessi indipendentisti americani scrissero la loro costituzione dicendo a gran voce ‘basta prìncipi’, riferendosi ovviamente a noi.
Anche a Strasburgo era così, per dire, lo stemma attuale della città, bianco e rosso, è il risultato dell’inversione dei colori dello stemma del vescovo che aveva governato la città, per chiarire la caduta e il passaggio di potere. Per fare un cenno contemporaneo, il papa è l’esempio più evidente di vescovo-principe ai giorni nostri, i due poteri uniti, anche se a noi arriva principalmente quello spirituale, per i non addetti alle cose vaticane. Ma c’è anche quello temporale, oh eccome!, basta seguire le vicende degli ultimissimi mesi che riguardano i cardinali Pell e Becciu e il dibattito processuale, molto interessante, sul concetto di teocrazia e sul diritto papale di cambiare a piacimento ogni categoria di legge, anche quelle che regolano i procedimenti penali. Vabbè, ci siamo capiti, non vorrei divagare oltre.

Varco il fiume, cambio a Francoforte e vado in una delle città più esemplari da questo punto di vista, intendo dei vescovi-principi, Würzburg.
Principato eccelsiastico, fu feudo per secoli della famiglia degli Schönborn, uno dei quali all’inizio del Seicento fu prima chierico, poi prevosto e poi principe-vescovo di Würzburg, per poi diventare arcivescovo di Magonza. La dinastia è secolare e piazza vescovi, cardinali e principi in ogni dove, sfruttando la contiguità tra regione cattolica e potere che in buona parte d’Europa governa da secoli. Certe cariche vengono trasmesse in maniera ereditaria all’interno delle famiglie di questo tipo ancora oggi, l’arcivescovo di Vienna è uno Schönborn, cardinale, toson d’oro, amico e figlio spirituale di Ratzinger, ha sfiorato il soglio un paio di volte ma grazie a dio non ce l’ha fatta, viste le improvvide affermazioni, tra le altre, su disegno intelligente e le critiche alla ‘teoria’ – dice lui – darwinista e all’abdicazione dell’intelligenza. Lui intende i darwinisti ma io penso alla sua.

Seguendo il Meno, esco dalla fossa renana per la Bassa Franconia, oggi c’è brutto tempo e complici i boschi fitti fitti pare di essere più in alto e a novembre. Poi cambia, Würzburg è a circa duecento metri sul livello del mare, è media, centomila abitanti, attorno sono tutti vigneti e ha tutte le cose che dicevo prima, legate alla figura del vescovo-principe. Persino davanti alla stazione c’è una fontana con inclusa statua di un vescovone. Li riconoscete perché sono quelli con la spada, ossia il potere terreno. Io punto la residenza, barocca, perché ha un paio di soffittoni enormi affrescati dai Tiepolo, un paio anche loro, padre e figlio. Oh, roba da manuale di storia dell’arte, mica piccolezze locali.

Prima di entrare, oltre al pass e al biglietto, mi viene richiesto di indossare una mascherina ffp2. Non possedendola, è stato possibile acquistarla in biglietteria. Questa mi è nuova, fossimo in Italia sospetterei subito di un appalto truccato per smerciare le mascherine eccedenti di Irene Pivetti.
La residenz è un palazzone barocco abbastanza grande costituito per la grande maggioranza da una lunga teoria di salotti e salottini stuccati d’oro o, novità del luogo, d’argento su sfondo nero, roba sobria, e qua e là una camera da letto di buone proporzioni. Ma ciò che sconvolge è lo scalone monumentale: il soffitto è tutto affrescato per quasi 670 metri quadrati – il più grande affresco da soffitto al mondo – dall’Omaggio del mondo al principe vescovo di Tiepolo, grandiosa rappresentazione dell’Europa, glorificata al centro assieme alla diocesi di Würzburg come centro di tutte le arti. Ai lati tutti gli altri continenti, caratterizzati da animali e copricapo tipici. È di grande bellezza, oltre a tutto, perché Tiepolo non riempie gli spazi ma lascia ampi scorci di cielo, senza appesantire l’insieme. E il cielo è un meraviglioso cielo all’alba o al tramonto, azzurro-rosa tenue. Anche il soffitto della kaisersaal è tutto affrescato da Tiepolo con la Storia della diocesi di Würzburg, con la rappresentazione di alcuni episodi remoti della storia locale, e anche questa è una saletta imperiale da quattrocento metri quadri. Ora, oltre all’aspetto estetico indiscutibile della faccenda, che già basta, è difficile anche solo intuire la difficoltà tecnica di una tale realizzazione. Provate a disegnare una robaccia su un foglio sdraiati, poi provate a farlo a 23 metri di altezza su un’impalcatura ballerina per più di mille metri quadri e per di più ad affresco e poi, magari, ne riparliamo. Oltre a tutto con il problema della velocità e della giornata, tipici dell’affresco. Tiepolo ci mise quattordici mesi, lasciando anche un paio di pale d’altare e qualche quadretto d’occasione, evidentemente nel tempo libero.
Io una fotina di sfroso l’ho fatta e la metto ma non ha molto a che vedere col reale, solo per dare un’idea.

Ecco, poi Würzburg è proprio graziosa, la somiglianza con Heidelberg e, non volevo dirlo ma tocca proprio farlo, Salisburgo, impressionanti. Lo è anche la fortezza inespugnabile che sovrasta la città, prima residenza dei perfidi vescovi. I quali, poi, sono tutti intombati in fila nel pavimento della cappella che nemmeno in lady Hawke c’è tanta tracotanza di potere vescovile. Poi arrivò Gustavo Adolfo dalla Svezia e dimostrò l’espugnabilità della fortezza e bon, era tempo di trasferirsi in città e gestire le sorti cittadine con la politica.

E ora la storia giusta con cui chiudere oggi. Come tutte le città tedesche con il fiume, e quindi i ponti, e nella parte occidentale della Germania, anche Würzburg fu pesantemente bombardata. Sia per fiaccare il morale sia perché la diagonale sui ponti non era sempre precisa, gli alleati non badavano troppo alla mira, puntando più sulla quantità di esplosivo. Così, il 16 marzo 1945 su Würzburg si rovesciarono non so quante tonnellate di bombe, distruggendo l’ottanta per cento degli edifici del centro. Anche la residenz, certo. I soffitti di Tiepolo si salvarono miracolosamente ma crollò il tetto che stava loro sopra. Il soldato John d. Skilton, storico dell’arte e prima curatore della National Gallery di Washington, si rese immediatamente conto che i soffitti non avrebbero resistito alle intemperie dei mesi successivi e decise di intervenire. Spesso a sue spese e con tutte le difficoltà che si potevano avere nella primavera del 1945, riuscì a radunare falegnami, muratori e soprattutto a trovare le materie prime, requisendo cartone catramato, per realizzare in molti mesi una copertura di fortuna dei due soffitti, così da preservarli per tempi migliori. Che sono questi, i nostri, nei quali possiamo vedere gli affreschi e godere di tanta bellezza senza doverne rimpiangere la sciagurata perdita. Non fosse stato per John d. Skilton, io di certo oggi non avrei raccontato ciò che ho raccontato e, anzi, nemmeno sarei venuto qui. Il soldato Skilton, come li chiamiamo oggi un monuments man, era cittadino onorario di Würzburg e degno del ringraziamento di ciascuno di noi. Compreso il fornaio all’angolo, che oggi vende panini grazie ai vescovoni e a Tiepolo. Stasera, per quanto mi riguarda, un brindisi a Skilton.


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