minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo dei vaccini: giorno otto. La colazione perfetta, il bel fiume, i Gabali tra gli altri, dàgli al no-vax.

Per rendere doverosamente omaggio alla Scuola di Nancy e all’art nouveau, vado a fare colazione all’Excelsior.

Arredata dall’ebanista Louis Majorelle, uno degli artisti di spicco della Scuola, tutta la sala è ancora originale in ogni dettaglio, fino ai portapepe. E tutto va di conseguenza, la colazione express è un caffè con due cioccolatini, due piccole baguettes al burro e marmellata, due uova alla coque, una caraffa d’acqua. Colazione da signori, appropriato per festeggiare ferragosto e la bellezza dell’arte nuova. Ma per aggiungere perfezione alla perfezione, entra dalle finestre un’arietta fresca, tutti parlano graziosamente a bassa voce e sopra la porta c’è un piccolo monitor con gli orari dei treni in tempo reale. Ecco, uno di quei momenti perfetti cui accennavo. Signore, se devi, prendimi ora.
Ma anche i momenti più perfetti finiscono. Vado subito in cerca di altri. Prendo la strada per Metz, in senso letterale perché stamane non ci sono treni, ferragosto, si va in pullman. L’autista per accenderlo deve fare l’alcool test, soffiando in un bocchettone collegato al cruscotto. Forse si fa anche da noi, non so, non l’avevo mai visto. Magari è strafatto di coca o di sonno ma a noi importa che non abbia bevuto le birrette.
Da Nancy seguiamo la valle della Mosella verso nord, è boscosa, densamente abitata sulle basse colline che la formano, arriva come dicevo a Treviri e ben oltre, passando prima per Metz e, ma proprio volendo volendo, il Lussemburgo, girando un po’ a sinistra. Ma io non ci torno, in Lussemburgo, no no, ci manca pure il granduca delle balle e le iene bancarie, una volta mi è bastato. Che mi scoccia pure che molti importanti uffici dell’UE siano proprio lì, per una questione di mezzo. Altro paese, come il Belgio, il Lichtenstein e poi vediamo chi, che secondo me andrebbe smembrato e considerato territorio comune europeo. Così la mia amica T. potrebbe continuare a lavorarci.
La valle, anche da questo lato dell’universo (in Germania è meno abitata, è più stretta), è davvero bella, punteggiata di paeselli sul fiume davvero pitorèschi e di una pletora di casette a congiungere uno all’altro. Poi, ogni tanto, una centralona EDF, un cementificio, una fabbricona ma con a fianco un artisan boulanger che tutto rende piacevole. E un Corviale, che li fanno anche loro.

Poi basta girare un angolo, che so, ad Arnaville, ed è un vero paradiso, da starci a camminare per le colline boscose e bere vino. Anche le due cose insieme, volendo. Toh, un acquedotto romano in mezzo alla campagna, che bravi all’ente del turismo. Ma non lo dico mica io, turista beota, che è bello qui. Lo dicono in molti, tra cui Ausonio che nel suo Mosella, poema dedicato al fiume, diceva: «Salve, amnis laudate agris, laudate colonis (…) | amnis odorifero iuga vitea consite Baccho, | consite gramineas, amnis viridissime, ripas» che suona un po’ come: «Salve, o fiume, celebrato per le tue campagne, celebrato per i tuoi contadini (…) fiume che scorre in mezzo a colline piantate di vigneti che producono vino profumato, fiume dalle verdi acque in mezzo a rive coperte di canneti», scritto tra il 370 e l’anno dopo.
Qui stavano, parlando di popolazioni galliche, i Mediomatrici. Eh lo so, erano sfuggiti a chiunque, colpevolmente. Ne abbiamo alcune monete, coniate a imitazione di quelle macedoni, e poco altro, oltre alle cronache di Cesare. Il toponimo Metz deriva da loro. Ora vorrei elencare alcune altre popolazioni del paese, poi soggiogate dai certi chiamati Romanes, perché sembra di leggere Asterix: gli Edui, famosi, i Segusiavi, gli Ambivareti, gli Aulerci Brannovici, i Blannovi, gli Arverni, gli Eleuteti, i Cadurci, i Gabali, i Vellavi, sottomessi agli Arverni, i Sequani, i Senoni, i Biturigi, i Santoni (che venivano molto ascoltati), i Ruteni, i Carnuti, i Bellovaci, i Lemovici, i Pittoni, i Turoni, i Parisi (sì, proprio loro), gli Elvezi. Ne ho ancora, vado avanti? Occhei. I Suessoni, gli Ambiani, i Petrocori, i Nervi, i Morini, i Nitiobrogi e come dimenticare gli Aulerci Cenomani, gli Atrebati, i Veliocassi, i Viromandui, gli Andi che però stavano qui, gli Aulerci Eburovici, i Raurici e i Boi, noti, i Coriosoliti, i Redoni, gli Ambibari, i Caleti, gli Osismi, i Veneti, eh sì, anche loro, i Lessovi e gli Unelli. Ahah, manca solo il liocorno. Che, poi, uno dice i Galli o i Francesi, ciao.
La cosa delle popolazioni potrebbe parere peregrina, e un po’ lo è, ma Metz è stata lungamente capitale del regno di Austrasia, cioè ovviamente il regno che dai canguri arrivava su su ai mongoli, confinante con quello di Neustria, che invece andava da Vienna a New York. D’accordo, d’accordo, non è così, ma i regni sì, eccome, bisogna andare indietro ai Merovingi e ai figli di Clodoveo e lì ci siamo. Poi c’erano Teodeberto e Teodebaldo ma io non ho mica tempo di star qui a fare distinzioni sottili. Comunque sesto secolo.

Metz è uno di quei posti dove secondo me si filosofeggia bene, perché c’è il fiume, il teatro, si mangia molto bene, non parliamo del vino, se si ha un lavoro o, meglio, una rendita è uno di quei posti in cui si può elaborare un’intera piattaforma di pensiero senza troppa difficoltà, al massimo pigliando una decina di chili. Che sia buona è un altro discorso, ma quello è il problema di sempre. La cattedralona gotica c’è, in gotico classico francese e terza nel paese per altezza delle volte ma prima per estensione delle vetrate, persino Chagall ne disegnò alcune, le mura pure, i palazzi anche, i musei non ne parliamo, anche perché in città c’è il figlio diretto del centre Pompidou, il Metz-Pompidou. Meno tubolare all’esterno, è la filiazione del museo parigino, secondo un’idea che io trovo proprio buona: le opere si muovono, escono dai magazzini, garantisce il buon nome del museo a monte, come il Louvre che è il marchio più riconoscibile al mondo apre a Dubai, gli altri si muovono.

Le costruzioni si fanno più tedesche, o forse sono quelle tedesche che si fanno più francesi, tutto si mescola, i confini in queste zone sono proprio una sciocchezza, una convenzione un po’ fasulla specie sapendo che, a parte i luminosi periodi di autonomia, queste zone non hanno mai passato più di un quarto d’ora dalla stessa parte. E fa un po’ ridere De Gaulle che proprio qui nel 1945 disse che Metz aveva da sempre scelto la Francia, visto che in realtà nei settant’anni precedenti per più di cinquanta era stata una città tedesca. Mah.
È ferragosto, non è che ci siano proprio orde di persone in giro, ci sono sessantaquattro gradi e noto che in centro è piuttosto pieno di polizia in assetto antisommossa, con giubbotti antiproiettile, lacrimogeni e scudi. Vado subito a vedere, perché non voglio certamente perdermi qualche no-vax o anti-passe sanitaire preso a manganellate, non sia mai. E poi magari vado a riflettere sulla violenza politica e il diritto al dissenso in un posticino sul fiume che ho visto prima che ha certi bianchini della zona che san di minerali che li raccomando. C’è una festa sotto le piante e pure il pétanque, che è la variante anziana delle bocce ma butta via. E se poi penso molto, sicuro che sbaglio tutti i tastini sulla tastiera, meglio chiuda qui. A domani.

La costruzione a destra è un ex ghiacciaia dell’esercito di fine Ottocento. Ora ci si conservano le birrette per le feste. Meglio, no?

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