camouflage

Il camouflage, traducibile con ‘mascheramento’, ‘mimetizzazione’, con etimo incerto supponendo per la forma un passaggio dal francese all’inglese ma, di certo, recente e non più antico di uno o due secoli, è in realtà – e qui proprio non avrei detto – termine militare, prima che figurato. E si intende la pratica di confondersi con l’ambiente circostante, magari con un paio di frasche sull’elmetto a corredo di una mimetica, appunto, del color del fango e delle foglie. La delicatezza del termine, presunta a dire il vero, mi aveva sempre fatto pensare a una qualche pratica settecentesca di trucco o parrucco o che diavolo ne so ma connesso alla moda, intrisa di gentilezza e grazia. Non che anche l’arte del nascondimento, seppur militare, non abbia una certa propria grazia ma non spingerei la cosa troppo in là, altrimenti si finisce in un baleno ai Monty Python militari di ‘E ora qualcosa di completamente diverso’. No, non è quello.
Il camouflage, passando per i camuffi veneziani, ladri che appunto nascondevano le cose, per le stampe camouflage, al Marpat, la stampa mimetica dell’United States Marine Corps, al Vegetato, il pattern ufficiale dell’Esercito Italiano, al glam rock, alle sfilate di moda degli anni Ottanta, alla pop art, insomma ha una storia di una certa consistenza, ancorché non troppo lunga. Oddio, per noi, perché a dire il vero la natura, anzi la Natura, lo fa da sempre, con risultati eccellenti. Anche perché si tratta di vivere o morire, mica si scherza.

Poiché noi, intendo umani, non ne siamo capaci di natura, allora ci vestiamo e copriamo, così da essere meno visibili. In generale, perché se i militari, storicamente, vi si dedicavano all’aperto e in natura, i civili possono anche decidere di nascondersi al chiuso, in ambienti articifiali, magari per essere notati meno. Che so, al mare o a un evento pubblico o in giro, all’evenienza.

Il rischio, naturalmente, è che qualcuno vi si sieda addosso.
Si possono anche nascondere oggetti, come una sedia, un bicchierone, una tortilla/piadina, pezzi di bagno, il caffelatte del mattino. Bastano la luce, l’ambiente adatto e, serve dirlo?, la giusta attitudine.

Alcuni, particolarmente bravi, riescono anche a nascondersi parzialmente, si fanno camaleonti a seconda dello sfondo, come le due donne e l’uomo senza gambe qui sotto.

Negli Stati Uniti c’è una piattaforma di contenuti, Reddit, poco usata da noi ma dalla bazzeccola di 542 milioni di utenti al mese là, che sostanzialmente consente di diffondere, scambiare, commentare e integrare, argomenti e temi suddivisi in sottoaree di interesse. Tra essi, c’è anche chi si occupa di camouflage e, nello specifico, di camouflage involontario, con esiti spassosi. Ecco. L’ultima cosa che conosco, al momento, sul camouflage è la canzone di Stan Ridgeway, che parla di un militare PFC dei Marines in Vietnam e devo riconoscere che, finora, non avessi capito granché del significato, fraintendendo di parecchio il senso del ritornello, uo-o-o-oh, camuflasg. Pensavo, come ho detto, fosse una roba sulla moda, figuriamoci. Dio, troppa roba da sapere.

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