minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 94

Ora i guanti è meglio non metterli. Una fatica improba per trovarli, comprarli a un costo doppio o triplo rispetto a tre mesi fa, una fatica superimproba per metterli, specie la seconda volta, o toglierli, fare tutte le cose con ’sti benedetti affari, ricordarseli, riempire la borsa di nuovi perché si rompono e ora si scopre che è meglio non averli? Ma andéadarviaiciàpp. In Lombardia i ricoverati in terapia intensiva sono scesi sotto quota 100, ed è un po’ l’unico valore oggettivo di cui tener conto, compreso l’affollamento fuori dal pronto soccorso, anch’esso per fortuna inesistente: quindi, bene. Errezero, Erreti, tamponi, test sierologici e compagnia bella li lascio agli esperti. Come si gestisce la situazione attuale, ovvero come si monitora e quali elementi è necessario tenere d’occhio con attenzione? Molti li abbiamo imparati, li ho appena citati, di sicuro ci sono due elementi nuovi rispetto a febbraio-marzo, quando colpevolmente lasciammo (uso la prima persona plurale per carità cristiana) passare tre mesi senza fare nulla: ora dovremmo essere (condizionale di carità cristiana) più preparati a cogliere le variazioni e intervenire e (elemento più certo) ora in ospedale hanno sicuramente individuato trattamenti più efficaci. Un recentissimo studio pubblicato su Nature suggerisce con chiarezza che il contagio potrebbe essere contenuto gestendo il network delle relazioni interpersonali, per dirla come la dicono loro. Segnalo questa cosa perché, oltre a contenere indicazioni utili e interessanti, sono pressapoco il contrario di quanto avrei detto io (prossima crisi non date il comando a me, se ve ne fosse dubbio): tre strategie che paiono dare buoni risultati sono avere contatti solo con gente simile (gruppi di amici o parenti), avere contatti di comunità (gruppi di amici che hanno molti altri amici) e avere interazioni tra gruppi limitati. Questi tre comportamenti paiono dare effetti molto migliori rispetto ad avere poche relazioni ma scelte casualmente, come per esempio al bar o nei luoghi pubblici. Io, pensando al naturale distanziamento dagli estranei, avrei detto il contrario. La Regione Lombardia, che è fonte di trovate insensate ogni giorno di più, stabilisce le nuove linee guida per l’accesso alle residenze per anziani, a quelle per disabili, centri diurni, servizi di salute mentale eccetera: prima di poter entrare, un nuovo ospite deve sottoporsi sia al tampone nasale che all’esame sierologico. Adesso fate le regole? Detto da chi non ci ha pensato due volte a mettere i contagiati nelle RSA decimando i ricoverati nelle residenze è a dir poco incredibile e vergognoso. Non c’è davvero limite, alla realtà e all’impudicizia di questa giunta.

In merito all’immagine qui sopra, mi duole sottolineare ancora una volta (vedi giorno 76) che il poco giustificato orgoglio lombardo, prima, e la reazione a un presunto odio rivolto ai lombardi, ora, è del tutto trasversale all’arco costituzionale politico. Non solo Libero, infatti, sostiene questa colossale scemenza, lo stesso De Bortoli, ex direttore del Corriere afferma a Il Giornale: «Uno spirito anti-lombardo è emerso nel paese. Non è più accettabile. Bisogna reagire. Dire basta». Bortoli, non è emerso, io ce l’ho da moltissimi anni. «Ascolto racconti di amici che sono andati fuori dalla Lombardia e sono stati accolti da battutine, insinuazioni, cattiverie» e ha ragione: perché fare le battutine, le insinuazioni, le cattiverie a una regione che sicuramente ha subito una pandemia molto violenta e drammatica e la cui guida, la Regione, ha gestito le cose nel peggior modo possibile? «Invidia» dice Libero, «schadenfreude» dice De Bortoli, dimostrando anche lui di non aver capito una fava. La spiego io in supersintesi: se storroni l’universo per anni dicendo di essere il più bravo di tutti con il miglior sistema sanitario di sempre e poi accade che prendi decisioni da criminale ritardato e il tuo sistema sanitario risulta essere medio, perché smantellato nel tempo, il minimo che ti puoi aspettare sono battutine, insinuazioni, cattiverie. Chiaro? Perché non è che qui la Regione ha fatto errori «soprattutto nella comunicazione», e insiste pure, qui è stato un disastro su tutta la linea, una sequela di decisioni improvvide e insipienti che, ancora una volta, hanno messo il fatturato, del tutto immaginario, davanti alla salute pubblica. Come hanno fatto negli ultimi decenni. Ha perfettamente ragione Ascanio Celestini a essere inviperito, quando fa notare che i teatri sono stati chiusi, gli attori a casa, e le 230 fabbriche di armi nel paese hanno continuato a lavorare per tutto il periodo di lockdown con il beneplacito di regioni e governo.
Le prostitute che lavorano nella via in cui abito indossano la mascherina. Mi pare normale, è obbligatorio e, comunque, conviene per non dare nell’occhio – la pattuglia di passaggio noterebbe e si fermerebbe, magari, a creare problemi all’attività – però la cosa mi colpisce comunque, sarà che non sono ancora del tutto abituato alle mascherine e per me continuano a contraddistinguere il personale sanitario. Vista moooolto alla larga potrebbe non essere inappropriata anche nel caso meretricio ma ci vuole immaginazione. Quanto influirà, se influirà, avere il viso nascosto sul lavoro della prostituta? Vorrei pensare molto ma temo, invece, poco. Non saprei proprio, e immagino che ci sia gente che ci va, e ci è andata, in tutto questo periodo, avendole viste per strada quasi sempre, tavolta anche durante i periodi più duri del lockdown.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 94

  1. Tra passato e futuro

    La giornata termina in gloria, con la conclusione (per lo meno nella mia testa) di un articolo e una gita notturna in un oceano di buio trapunto di luce. Per chi mi dovesse leggere ora per la prima volta, non sto parlando di un viaggio psichedelico generato dall’assunzione di imprecisate sostanze lisergiche, ma soltanto dell’abitudine di questo periodo di visitare in notturna le lucciole appostate non troppo distanti da casa mia. Va bene, forse in questo caso l’excusatio non petita, evocante atmosfere da meretricio, vale come la proverbiale pezza che è peggio del buco, ma chi vuol capire intenda.
    Durante questi giorni mi capita spesso di pensare al passato, tanto a quello prossimo quanto a quello più risalente. Mi ricordo mia nonna, mentre facciamo volare dalla finestra di casa sua una stella filante in mezzo ai fiocchi di neve. Mi ricordo il mio amico A. mentre passeggiamo in tutte le stagioni nel verde della collina, parlando dei nostri sogni, di progetti, paure e preoccupazioni. Mi ricordo della sensazione di ricchezza (proprio così) provata nel possedere un abbonamento dell’autobus penso in seconda o terza media e poter viaggiare ovunque all’interno del perimetro che allora, di fatto, era tutto l’universo non vacanziero. E mi ricordo anche quando questo universo si è dapprima allargato e poi, di recente, molto ristretto; salvo che, come un liquido che compresso trova sempre altre strade, alla limitatezza degli spostamenti ha fatto immediatamente seguito un intensificarsi delle comunicazioni, una rinnovata voglia (se vogliamo per certi versi anche coatta, artificiosa) di vicinanza. È singolare come da un apparente confine si scopra di avere a disposizione la dimensione della profondità e come tanto rapidamente dalla paura si passi alla speranza.
    Nelle conversazioni con gli amici e i familiari, le questioni legate al covid sono ormai del tutto marginali, legate appunto al ricordo o agli strascichi che ancora ci sono, come ad esempio sul lavoro, in prospettiva per le vacanze o nei trasporti. Oggi come oggi, che all’università abbiano già annunciato che il prossimo semestre, se non addirittura anche il primo del prossimo anno solare, saranno erogati principalmente da remoto suona del tutto surreale. Attenzione, suona così, ma non lo è affatto a guardare alle previsioni e ai dati. Solo che le nostre sensazioni evidentemente non sono molto legate a questi ultimi e prova ne è proprio il Ministro dell’Università, Gaetano Manfredi, che oggi vaneggia di rilancio e di lezioni a orari sfalsati per consentire a tutti le lezioni in presenza: una sorta di “università serale”. Non so a ingegneria, dove insegna(va) lui, ma a giurisprudenza, con l’attuale organico e con le aule in dotazione, la sola idea suscita soltanto una grassa risata.
    Metto a fuoco solo ora, scrivendo, che uno dei motivi che hanno reso faticoso questo periodo è stata l’accresciuta difficoltà di vivere nel presente. Non che di solito sia facile, per carità, ma l’emergenza (reale o percepita non importa) lo rende ancora più complesso, di fatto spronando la mente – che già ci è portata di suo – ad andare a zonzo nello ieri e nel domani.

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