minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 91

Tra le tante riaperture di questo periodo – ed è un piacere sentire ogni giorno che qualcosa riparte quanto era stato spiacevole a marzo vedere le chiusure avanzare come una mareggiata improvvisa – ci sono quelle del comparto culturale, musei, pinacoteche, biblioteche, esposizioni, teatri, cinema e così via. Naturalmente si è discusso moltissimo sulle modalità delle riaperture dei ristoranti, distanze dei tavoli, capienze, servizio, sicurezza eccetera, e molto poco su quelle dei musei, l’interesse generale pende sui primi e non sui secondi. Ciò nonostante, anche sui luoghi pubblici dedicati alla cultura il dibattito è stato vivace, le proposte molte, alla fine si è optato per soluzioni che garantiscano insieme ove possibile la sicurezza dei visitatori e l’attrazione dell’offerta. La seconda più penalizzata, specie nei musei piccoli. Per fare un esempio, ieri ha riaperto il Prado, come molti musei spagnoli. È ora necessario acquistare il biglietto in anticipo, scegliendo una fascia oraria per la visita, farsi provare la temperatura all’entrata, indossare la mascherina per tutta la durata della visita, osservare i distanziamenti. Per dire, non è possibile tornare indietro nel percorso della visita che, ora, si svolge in una direzione precisa e non permette più di scegliere le sale secondo estro. Per rendere questo possibile, la capienza del museo è stata ridotta da circa novemila visitatori a milleottocento, esattamente un quinto. Di conseguenza, anche le opere visibili sono passate da millequattrocento a duecentocinquanta, più o meno una proporzione simile. Essendo un po’ smembrato il criterio di visita consueto, e non potendo non lasciare visibili alcune opere di grande attrazione, i dipinti sono stati accostati secondo criteri tematici per quanto avventizi, senza tenere conto, per esempio, del criterio cronologico e geografico cui siamo abituati. Il biglietto costerà la metà fino a settembre – e qui spiace dirlo ma la percentuale non torna, offerta al venti e costo al cinquanta per cento – e le perdite del museo sono consistenti, poiché tre quarti del bilancio del museo sono costituiti dalle entrate derivanti dalla vendita dei biglietti. Il periodo di lockdown è costato complessivamente sette milioni.

(Carlos Alvarez/Getty Images)

Come per i ristoranti, i musei più grandi e più strutturati sono destinati a soffrire meno di quelli più piccoli e con opere che destano meno l’interesse del grande pubblico. Tra quelli più grandi, da noi, la Pinacoteca di Brera riaprirà martedì prossimo, seguendo alcuni criteri simili: prenotazione obbligatoria, registrazione dei dati, visite ridotte a cento persone all’ora, rilevazione della temperatura, percorso di visita a senso unico, uso di mascherine per i visitatori e per i custodi. La direzione non comunica dati sulle opere in esposizione, segnalando solo la chiusura delle sale più piccole, e il dato più evidente è che l’accesso sarà gratuito per tutta l’estate, fatto davvero meritorio. Cercando di arricchire la proposta, hanno poi pensato a un’offerta preparatoria alla visita, ovvero a seguito della registrazione e dell’acquisto dei biglietti viene inviato in posta elettronica un pacchetto personalizzato propedeutico alla visita. Se la comunicazione del Prado è amichevole, il «Reencuentro», quella di Brera è più battagliera, si parla di «resistenza culturale», e mistica, il visitatore dopo aver ricevuto materiali online in anticipo avrà il momento della «rivelazione» durante la visita vera e propria. Quanto vale per la visita a Brera vale anche per le esposizioni milanesi, per esempio la mostra di Georges de la Tour a Palazzo Reale, riaperta anch’essa da qualche giorno, e la segnalo perché tra le indicazioni di visita viene specificato di non presentarsi in anticipo, almeno non prima di cinque minuti dall’orario della prenotazione, «per non creare assembramenti». Anche a Roma i musei nazionali e comunali hanno riaperto da pochi giorni, dal 2 giugno, con gli stessi criteri – prenotazione obbligatoria, orari fissati in anticipo, numeri contingentati, ingressi ogni trenta minuti, chiusura delle biglietterie e dei guardaroba, rilevazione della temperatura – e l’uso delle mascherine, che nel Lazio non sono obbligatorie all’aperto ma al chiuso sì. Diversa la comunicazione del Palazzo delle Esposizioni di Roma che scrive con evidenza: «Ogni singolo individuo si assume la responsabilità di contenere il contagio», per essere chiari fin dal principio. Tutti i maggiori musei offrono audioguide disponibili con app scaricabili, di modo che sia possibile ascoltarle sul proprio telefono, risolvendo così un’altra questione non banale, la distribuzione e la sanificazione degli apparecchi usati dal pubblico.
Se l’offerta culturale declinata sul versante museale comincia a trovare una propria consistenza, quella teatrale e cinematografica stenta maggiormente, sia perché è sospesa per decreto fino al 15 giugno sia perché comporta qualche problema in più, come evidente. La riflessione al riguardo pare stia portando all’adozione di criteri simili a quelli dei musei per gli accessi e alla riduzione significativa dei posti a sedere: Ascanio Celestini sarà il primo a inaugurare questo nuovo corso, portando in scena il suo «Radio Clandestina» al teatro Sperimentale di Pesaro il 15 giugno alle ore 00:01, il primo attimo possibile, con una platea anche in questo caso ridotta al venti per cento, da cinquecento a cento. Celestini, spiegando l’idea di andare in scena un minuto dopo la riapertura, ha paragonato la situazione attuale, dell’attore e del pubblico, a quella del carcerato che, appena uscito, fa ciò che gli è stato impedito fino a quel momento.
L’offerta musicale, invece, è ancora in alto mare. Se i concerti al chiuso possono senz’altro seguire le indicazioni offerte dai teatri e dai musei, quelli all’aperto ancora non hanno trovato una propria forma, posso immaginare anche perché. Se la composizione e la distribuzione del pubblico potrebbero seguire le norme prescritte, distanziamento e riduzione del numero, più difficile la questione dei costi, notevolmente maggiori rispetto a una rappresentazione teatrale o a un concerto al chiuso (palco, luci, suono, organizzazione eccetera). Il settore, al momento, ha posticipato paro paro il calendario dei concerti estivi del 2020 al 2021: un concerto previsto per oggi, 6 giugno 2020, è spostato integralmente al 5 giugno 2021, mantenendo invariata la proposta, compreso il giorno della settimana. E così è stato per tutta la stagione, considerando la situazione attuale come, alla fine, temporanea. Bene, anzi no. Perché se le condizioni sono cambiate, e sono cambiate eccome, dev’essere offerta all’acquirente del biglietto la possibilità di acconsentire allo spostamento o di ricevere il rimborso, opzione che il settore musicale non ha nemmeno preso in considerazione. Per tutti i concerti che mi sono saltati finora, e sono parecchi, da Pollini ad Atkins, da Capossela ai prossimi Pearl Jam, già andati, alla stagione operistica alle terme di Caracalla, chissà, nessun segnale pervenuto, non mi è stato mai proposto il rimborso. Il che è una bella vigliaccata, a parer mio. Per questo motivo, va dato riscontro positivo ai Tool, una band americana di metal progressivo, che ha rimborsato tutti i biglietti cancellando il proprio tour, perché «Mentre lavoravamo per riprogrammare il tour, abbiamo letto i vostri messaggi. Messaggi di persone che perdevano il lavoro, persone che si ammalavano e in difficoltà economiche» e, in conseguenza, «avremmo potuto posticipare le date al 2021 ma dal punto di vista etico, non crediamo che sia la cosa giusta da fare. Secondo noi, tenerci i soldi dei fan per mesi e mesi, se non addirittura per un anno intero, non sarebbe corretto». Concordo e, quindi, tanto di cappello ai Tool, per ora unici nel panorama.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 91

  1. Tanto meglio per i fatti

    Più volte in questo periodo di emergenza mi sono dovuto confrontare con le (e, per molti versi, anche rassegnare alle) capacità eufemisticamente avventizie di calcolo e di elaborazione dei dati mie e degli altri con cui venivo in contatto. Più volte mi è capitato di segnalare quanto poco fosse dato di capire dagli elementi che, peraltro in modo estremamente incompleto e rapsodico, ci venivano comunicati. Più volte mi sono lamentato di come i dati mi sembrassero falsati, spuri, quando non deliberatamente aggiustati ad usum delphini. Per onestà, allora, devo riconoscere che quanto oggi risulta dal bollettino quotidiano sembra dare ragione agli ottimisti (nota bene: agli ottimisti, non agli sconsiderati che vorrebbero organizzare dei rave party orgiastici in ville private): 278 nuovi casi in tutta Italia, di cui come al solito circa la metà (per l’esattezza 142) in Lombardia, ma stavolta con un elevato numero di tamponi, sicché il rapporto tra tamponi e casi di positività passa in un giorno da 1/48 a 1/96. Non è il caso di soffermarsi sui dati giornalieri, che visto il numero elevato di casi da verificare è sempre molto (in Lombardia restano sempre quasi duemila e il dato mi sembra ormai fisso da tempo: ma sono sempre quelli che non vengono verificati o ogni giorno se ne aggiungono di nuovi?), però che finora non ci sia stata l’onda di ritorno che molti (me compreso) paventavano inizia a profilarsi come un dato di fatto.
    Magari poi arriverà a fine giugno, o a inizio agosto mentre tutti staranno in spiaggia, al lago o in montagna ridendo a crepapelle e scambiandosi gli sguardi compiaciuti di chi ha condiviso una guerra ed è sopravvissuto, ma intanto adesso la situazione è diversa da come potevo prospettarmela, anche al netto del comportamento per nulla cristallino di molti concittadini. Non è motivo razionale per calare le braghe e nemmeno per dire che “avevano ragione loro”, visto che aver ragione presuppone appunto di ragionare, non di fidarsi o di confidare nella buona sorte o nell’opinione di un parente acquisito che ha sostenuto un esame di chimica all’università e si lancia in previsioni epidemiologiche, però con la realtà bisogna confrontarsi giorno per giorno, e adesso il trend inizia a risultare consistente. Negarlo significherebbe soltanto certificare con un hegeliano “tanto peggio per i fatti” la propria malafede o il proprio atteggiamento preconcetto. Del resto, se è vero che tutti alla fine muoiono, a pronosticare sventure sul lungo periodo ci si prende quasi sempre, ma questo non vuol dire che tali profezie siano anche utili o che la gente debba perdere tempo per stare ad ascoltarle.
    Contentiamoci allora dei 18 nuovi casi di Brescia rispetto agli 89 di ieri e del fatto che su una spiaggia albanese Vittorio Sgarbi sia scampato, grazie al provvidenziale aiuto della figlia, alla forza della risacca senza occhiali e senza mutande ma salvando la pelle, il tutto immortalato da un video bellissimo e assai istruttivo commentato dalla viva voce del superstite. Nel mondo intanto il Brasile in un giorno di nuovi casi ne conta 30.000 e Bolsonaro (fenomeno…) si incazza con l’OMS asserendo che avrebbero dei “pregiudizi” nei confronti dei brasiliani, mentre in Siberia il permafrost si scioglie e fa rovesciare un serbatoio di 20.000 tonnellate di petrolio nel mare artico. Preferivo i video dei delfini a Trieste e delle acque tropicali nella laguna: ma adesso qualcuno che ci fa vedere come sono non lo si trova? Così, giusto per sapere.

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