minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 69

E i due metri divennero uno. L’accordo tra governo e regioni ha dimezzato la distanza di sicurezza tra le persone, il che concretamente significa doppia capienza per ristoranti e luoghi analoghi, anche se per esempio la Campania interpreterà la norma nei termini della distanza tra i tavoli e non tra le persone, fa una bella differenza. È chiaramente un compromesso, il metro, trovo curioso immaginare il tavolo della trattativa – un metro e cinquanta! No, settantacinque centimetri – per cui la discussione a un certo punto, come spesso accade, ha il sopravvento sulle esigenze reali. Capito, virus? Un metro basta. Che si sappia, OMS! Non credo valga anche per gli uffici, oggi siamo stati alle prese con una videoconferenza per spiegare a tutti le nuove regole in tempo di covid-19: la capienza dell’ufficio passa da 15 a 6, quindi qualcuno deve per forza stare a casa; la porta dell’ufficio resta chiusa ed è permesso un solo cliente alla volta; una porta è solo per l’entrata e una per l’uscita, secondo percorso prestabilito; gli spazi comuni sono contingentati e lo spostamento tra le diverse stanze interdetto; ciascuno deve sottoscrivere un modulo all’entrata in cui dichiara di essere a conoscenza delle norme in atto e dev’essersi provato la temperatura; guanti e mascherina sono necessari all’entrata, all’uscita e ogni volta che ci si alza dal tavolo; l’ufficio dev’essere sanificato costantemente, ciascuno deve provvedere alla pulizia della propria postazione, un incaricato ogni giorno deve pulire tutte le maniglie e tutte le parti «promiscue» (da protocollo) come stampanti, touch screen e così via. La faccio breve perché potrei andare avanti per un bel po’. Ovvio che convenga prolungare il più possibile lo smart working e, se dovessi incontrare un cliente, lo farò in un campo o a metà di un ponte. A Wuhan le autorità cinesi lanciano la più massiccia campagna di test a tappeto mai vista: 11 milioni di persone sottoposte a tampone, per verificare lo stato del contagio. Ma se ci si mette troppo tempo la cosa non ha senso, perché i primi potrebbero ben aver cambiato stato di salute, e quindi ecco il piano: in dieci giorni. Più di un milione di tamponi al giorno. E fino a oggi la media è stata di circa settanta/ottantamila al giorno, quindi si tratta di decuplicare lo sforzo, almeno. Davvero niente male, immagino sarà tutto fatto nello stile cinese visto finora nella costruzione di ponti e autostrade: se non finisci entro domani, muori.
Amenità trascurabili: il segretario della Lega lancia una manifestazione di piazza – sì, per davvero – il 2 giugno a Roma, per una roba di orgoglio, e lui spera ovviamente che non gliela lascino fare; Brescia e Bergamo si candidano a capitali italiane della cultura 2023 e non si capisce (io non capisco) la relazione tra il macello degli ultimi tre mesi e la cultura; da oggi i cittadini di Lituania, Estonia e Lettonia, le repubbliche baltiche, possono circolare liberamente tra i tre paesi; se Lourdes oggi riapre parzialmente, Lettera43 purtroppo chiude. E io preferivo la seconda, di gran lunga. Sai che scoop.

Pare che dal 3 giugno, oltre alla libera circolazione tra regioni, si aprano le frontiere italiane, per favorire il turismo. Ammesso che, non farei troppo conto sui pullman di tedeschi e svedesi a Riccione. Aperte vuol dire in entrata, non è chiaro come sarà in uscita: se, infatti, l’UE sta invitando i singoli paesi a riaprire i propri confini è altrettanto vero che verranno regolamentati i flussi dalle zone più colpite dal contagio (e indovina chi? noi, qui) per cui non è affatto scontato che con un documento lombardo si possa, poi, andare più di tanto in giro. Vedremo che decide l’Ecdc, l’Agenzia Ue per le malattie. I confini esterni dell’Europa, invece, resteranno chiusi almeno fino al 15, poi si vedrà. Qui lo dico: se dal 3 c’è uno spiraglio, io levo le tende e me ne vado in giro finché non mi chiudono in una struttura di sanificazione forzata. Un epocale, per me, viaggio in Europa al tempo del virus, immagino sarà complicato anche mangiare, vedremo. Poi non vorranno lombardi tra i piedi e a me prenderà fuoco la testa, lo so, e mi verrà voglia di parlare con Fontana. Altro: stanotte un accenno di grandine ma grossa, poi si è spostata su Milano, presumo, perché lì ci sono stati veri nubifragi ed esondazioni. Con le solite polemiche, poi, sulle vasche non realizzate. Infine, come mi auguravo qualche giorno fa (giorno 65), sono state aumentate di parecchio le corse degli autobus, ora la faccenda sarà più funzionale.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 69

  1. Che dio ce la mandi buona

    È ormai da alcuni giorni che, come sempre quando ci si avvicina alla scadenza per qualche decisione politica sul covid, tutte le testate giornalistiche – dalle più sgangherate a quelle che pretenderebbero di essere più serie – si scatenano in improbabili scoop su quello che sarà il nostro prossimo futuro. Potremo andare al ristorante e stare allo stesso tavolo senza mascherina, ma solo autocertificando che siamo conviventi; si potrà andare al mare, ma solo se la distanza tra gli ombrelloni sarà di almeno dieci metri (anzi no, cinque); ci sarà la possibilità di andare all’estero per tutti i cittadini europei (“frontiere aperte”!) ma per ora non per gli italiani. E avanti in questo modo.
    Due cose immancabilmente mi colpiscono.
    La prima è il fenomeno del “sentito dire” quale fonte pressoché esclusiva di informazione. Dopo tutto questo periodo di addestramento, immaginavo che gli italiani avessero capito che, per conoscere il contenuto delle norme che li riguardano, soprattutto per non incorrere in errori marchiani, bisogna per forza attendere l’atto formale, pubblicato non dico in Gazzetta Ufficiale, ma per lo meno sui canali istituzionali (sito del Governo o della Regione). Invece no, si “orecchia” da qualche giornale online, o magari da qualche amico che a sua volta ne ha avuto notizia in qualche forma indiretta, e si inizia subito a discutere e congetturare. Non ragionano e si comportano così solo le persone di bassa cultura, ma anche il ricercatore in storia antica e il fisico nucleare (sì, sono loro il mio ambito medio di frequentazione…) e persino parecchi laureati in giurisprudenza (vabbè, con quel che laureiamo qui mi stupisco molto meno…). Con ogni probabilità, è quel che accade normalmente per ogni nuova legge e non c’è nulla di cui stupirsi. Usualmente non ci sarebbe neppure niente di cui preoccuparsi, visto che le leggi non entrano in vigore immediatamente e che i mezzi di informazione hanno anche il tempo di correggersi in corso d’opera. Nella situazione attuale, tuttavia, le cose non sono proprio così e si rischia di generare parecchia confusione sulle prescrizioni vigenti: e infatti la confusione c’è, e molta.
    E qui vengo alla seconda cosa che mi colpisce. In mancanza di una definizione tecnica, la chiamerò, “anticipazione normativa”. Si tratta di un fenomeno del quale mi faceva avvertito il mio amico G., e che consiste nel comportarsi già oggi sulla base delle (presunte: vedi punto precedente) norme che entreranno in vigore nella prossima fase e che finora sono state soltanto preannunciate. Da lunedì si potrà cenare con gli amici? Beh, oggi è sabato, che saranno mai due giorni di differenza… Ovviamente l’anticipazione normativa si verifica sempre in rapporto a nuove norme “abilitanti” (che consentono una gamma più ampia di possibilità rispetto al regime precedente), mentre chissà come se le nuove norme sono più restrittive l’unico effetto che si verifica è quello opposto, di sfruttare fino all’ultimo secondo le libertà che stanno per essere compresse. C’è poco da fare, siamo fatti così: la mente umana è uno strumento cangiante e assai selettivo.
    C’è anche da dire che il Governo non sta dando una gran mano per evitare questo stato “dissociativo” dove realtà e desiderio si mescolano più o meno felicemente. Le discussioni di questi giorni sembrano sempre più mercati delle vacche, dove ogni protocollo sanitario può essere piegato alle esigenze dell’economia e dell’impresa a seconda della forza politica dei partecipanti al relativo tavolo. Possibile che la distanza di sicurezza da tenere al ristorante possa essere dimezzata con un tratto di penna? A chi poi ci andrà, nei ristoranti, interesserà di capire se erano folli prima a pretendere due metri oppure adesso che ne prescrivono uno solo? Ancora: arrivi dall’Europa senza quarantena per salvare il turismo (“venghino, signori, venghino!”). Mi domando: anche dalla Spagna? Anche dal Regno Unito? Al turismo, posto che davvero ci sia tutta questa spinta a fare le vacanze in Italia, farà davvero bene un “liberi tutti”? E infine, ma solo per non allungare l’elenco all’infinito: Mes sì (perché ci serve, è essenziale e non condizionato), Mes no (perché non vorremmo fare brutta figura con una parte degli italiani e vedere lesa l’immagine del Paese) e Mes forse (va bene se lo sfrutta anche la Francia), ma a parlare è sempre Conte, che a questo punto è davvero stato riportato nelle secche della sua difficile coalizione.
    Spero di sbagliare, ma la mia impressione è che su molti fronti si stia letteralmente improvvisando, sperando che dio ce la mandi buona.

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