minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 63

Alcune brutte notizie e una buona di questi giorni: sono deceduti, purtroppo e tra gli altri, Little Richard, che aveva pure la sua veneranda età ma avendo in sostanza inventato il rock ‘n’ roll io gli sono riconoscente in eterno, poi Piero Gelli, fine filologo gaddiano e direttore editoriale di Einaudi e Garzanti, tra le altre, e infine Franco Cordero, di cui parla meglio di me Federico qui sotto. La buona è che, dopo 536 giorni, è stata rilasciata Silvia Romano. «Che Italia troverà?», si chiedono alcuni pensando alla pandemia, «la solita Italia del cazzo», rispondo io pensando alla pletora di merdine sparpagliate in rete che si chiedono aggressive quanto sia stato pagato di riscatto «con i nostri soldi». Naturalmente, fossero stati rapiti loro pretenderebbero il pagamento eccome, ma non c’è pericolo: dato che nulla fanno per rendersi utili all’umanità, possono stare tranquilli sul divano a commentare. Bentornata Silvia, finalmente. Così al volo: il TAR della Calabria ha bocciato, surprais!, l’iniziativa della presidente Santelli di riaprire i ristoranti fin da subito, si sapeva e nel frattempo lei ha avuto le sue due paginette di notorietà. Altrimenti le toccava darla a Berlusconi, capisci bene che meglio spararne una grossa. Il Ministero ha comunicato che gli orali della maturità cominceranno il 17 giugno con cinque studenti interrogati al giorno, e qui si intende di persona, davanti alla commissione. Mi pare giusto, alla fine è una tappa importante e vale la pena che sia la più normale possibile. Meno normale, a proposito di esami, invece sono quelli che ho visto gestire alla mia amica T. stamane, in diretta in videoconferenza: a parte un senso della puntualità discutibile, alcuni di loro erano sì e no usciti dal letto da poco e il letto, sfatto, era ben visibile dietro di loro. Accomodati alla meno peggio, si sono presentati per sostenere l’esame. Ora, purtroppo il fatto è che ormai, in parecchie istituzioni scolastiche del paese – quelle equiparate, diciamola chiara – i figlioli non sono discenti e, quindi, cazziabili ma clienti e, in quanto tali, vanno incoraggiati e coccolati. La frustrazione di T. era visibile e palpabile, mi spiace. Anche per i pischelli, cui mancherà un pezzo davvero importante dell’istruzione superiore, quello che ti insegna a stare al mondo. Un caffè di Milano ha installato per primo, o tra i primi, delle divisorie di vetro o plexiglas in mezzo a ogni tavolo, per separare i due commensali altrimenti troppo vicini. Bene, proviamo. La cosa buffa è che il titolare sostiene, convinto, che «ai clienti piace» e qui la mia credulità un po’ vacilla, perché l’effetto Poste è francamente inevitabile e a chi piace prendere un’insalatina di avocado allo sportello delle Poste? Mah, a questo punto devo provare pure questa. Alle Poste, intendo, non al caffè di Milano.

La notizia seria è che, tra i vari parametri monitorati dalla Regione Lombardia, basati quasi tutti su dati inesistenti se le abitudini non sono mutate nelle ultime notti, uno abbastanza certo (il condizionale è sempre d’obbligo con questi) sono i ricoverati in terapia intensiva: ecco, con cinquecento nuovi casi, la Regione ha dichiarato che si richiude e si torna a panificare a casa. Sono un po’ deluso, lo ammetto, speravo in qualcosa di un filino più sofisticato: un complesso incrocio tra il valore di R0, cioè il numero di riproduzione di base, e la durata della contagiosità dopo l’infezione di una persona, la probabilità di infezione e soprattutto il tasso di contatto, il tutto riparametrato su base demografica, sociale e tassonometrica. Invece no, io ti lascio uscire ma se ti fai male poi le prendi. Ma se stiamo a 499 tutto a posto? Birretta sui navigli? E se quelli malati che puntano la terapia intensiva li abbattessimo? Via puliti, tutti fuori. O anche solo nasconderli, senza fargli del male, basta convincerli a ritirarsi in un qualche albergo nel bosco. Però valgono solo quelli che in terapia intensiva ci finiscono per covid-19, eh, non facciamo scherzi. Che qua siamo tesi.

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4 commenti su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 63

  1. Tolleranza zero

    Fra i tanti lutti di questo periodo, ieri si è registrato anche quello di Franco Cordero: grande studioso di procedura penale, senz’altro autore del suo manuale più memorabile, ma soprattutto intellettuale di statura europea, la cui cultura era davvero umanistica nel senso più ampio del termine, spaziando dalla storia alla filosofia, dall’arte alla scienza, il tutto con una padronanza commovente delle lingue antiche e moderne, patrie e straniere. Avendo compiuto 92 anni, difficile dire se a toglierci la sua compagnia sia stato il covid, ma certo quest’anno, dopo Emanuele Severino, se ne va un altro maestro a me caro. Amen.
    Oggi era la prima giornata di fine settimana, con tempo buono, della “fase 2” e mi aspettavo che per le strade (di città e non) si sparpagliasse una moltitudine di persone. Previsione solo in parte azzeccata: molti erano in effetti in circolazione, ma non così tanti più dei giorni scorsi, e sicuramente non tanto più indisciplinati. Certo, sempre qualcuno senza mascherina o non adeguatamente distanziato, ma pochi.
    È viceversa nel privato che, a quanto mi raccontano, si stanno verificando le deroghe più consistenti. Con la normativa vaga che ci ritroviamo sui congiunti, il maggior numero di persone in circolazione su automobile e – soprattutto – la assenza pressoché totale di controlli che già si è vista nei giorni scorsi e che sembrerebbe confermarsi anche per questi giorni festivi, le remore per le riunioni tra amici stanno già ampiamente venendo meno. Si sente parlare di feste, di aperitivi e di grigliate, ovviamente a partire dai più giovani, che si spera poi eviteranno ogni contatto con le categorie protette.
    Mi domando se tra chi organizza questi ritrovi e queste cene ci sia qualcuno che un mese fa inveiva contro qualche “cretino” che si ritrovava clandestinamente con gli amici mentre gli “angeli” negli ospedali non riuscivano a garantire l’accesso a tutti per la terapia intensiva. Me lo domando perché, nel caso, sarei curioso di chiedergli cosa, a suo avviso, sarebbe cambiato oggi e su quali dati – al di là della comprensibile voglia di socialità – baserebbe il cambiamento di diagnosi.
    Mi rendo conto di essere molto insofferente a queste deroghe alle norme vigenti. Mi rendo conto che l’imprudenza non è la stessa se commessa da un ottantenne con problematiche pregresse che vive in un ospizio, da un trentenne che vive da solo e che frequenta solo coetanei o da un adolescente che vive coi genitori. Mi rendo conto che le regole attuali potrebbero essere troppo rigide o comunque meritevoli di molti aggiustamenti. Nondimeno, a parte il fatto che gli aggiustamenti non per forza andrebbero (ragionevolmente) nel senso di una maggiore libertà, quello che (non da oggi) mi infastidisce è la faciloneria egoistica con cui si prendono (e poi a posteriori si razionalizzano e si giustificano) le decisioni che ci fanno più comodo, che in realtà desideriamo prendere. Il resto è troppo spesso chiacchiera inutile, a tacere poi del fatto che, una volta entrati nella logica della deroga (cioè, dell’illecito), non v’è niente di più facile che aggiungervene un’altra e un’altra ancora. Come diceva Rudolph Giuliani, “un vetro rotto invoglia a romperne altri”. Condivido la diagnosi e – fosse per me – anche la terapia: tolleranza zero ed educazione civica impartita puntualmente a forza di amorevolissimi calci nel culo.

  2. Eheh, caro F. – scusa se te lo dico – ma la chiusa oggi ti è uscita un pelo reazionaria. Sarà l’insofferenza, temo. Perché non vieni a cena con noi stasera e indossi l’animo allegro?

    • Hai proprio ragione, caro Trivigante. Vengo tosto, lieto nel volto e nel cuore. Perché come diceva Madre Teresa, figura a te carissima, “Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso”.

      • Piano con le parole, ‘Madre Teresa’ a me non lo dici!
        Sapevo saresti arrivato rissoso, eheh. Dunque reazionario e rissosetto, secondo me potrebbe esserci una scrivania come titolista a ‘Libero’ ma devi abbandonare questa tua ritrosia e modestia e lasciar scorrere liberamente il sangue. Si può fare?

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