minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 58

E quindi uscimmo per non riveder più le stelle. Accendi, accendi, accelera, dai, dai, che devo andare di qua e poi di là. Non tanto la quantità delle macchine in giro, comunque un bell’incremento, secondo me siamo all’ottanta per cento del normale, quanto più la velocità: mi trovo incolonnato più volte e siamo sempre ampiamente sopra i limiti. Avanti, avanti. Tra l’altro, bisogna darsi da fare: comprare tutto quello che non si è comprato in questi due mesi, dire, fare ma assolutamente non baciare. Un po’ è la disabitudine, nel senso che negli ultimi due mesi, nonostante le strade fossero del tutto vuote, si guidava a tre all’ora perché c’era una pattuglia ogni cento metri e già tocca contar balle ci manca l’infrazione. Di conseguenza lo zang tumb tumb di oggi colpisce, anche se devo essere onesto: niente di isterico o, almeno, non troppo. Quasi tutti fuori, sì, ma in modo per maggioranza composto. Tranne, meglio cavarsi il dente fin da subito, il primo incidente visto di persona, ore 9:10. Ben fatto, uno svolta e l’altro va dritto. Il primo «vaffanculo» al semaforo, poco prima, la prima clacsonata, seguita poi da molte, la prima coppia con la mascherina calata sotto il naso, il primo senza, il primo fruttivendolo senza nemmeno i guanti, la prima coppia che pretende un cono in una gelateria con un cartello grosso così «solo asporto». Com’era quella cosa sul mondo vario? Mah. Fuori da mediaworld la coda. Dentro mediaworld la coda per parlare con gli addetti. Poi la coda per pagare e la coda per uscire, riprendendo le borse. Amazon ringrazia. La cosa stupenda è che, appunto in coda da mediaworld perché se non compro un mouse sono fottuto, ho dietro un ragazzo che si sta comprando un LP dei Devo. E basta. Cioè lui ha atteso cinquantotto giorni, ha resistito alle sirene delle vendite online, ed è uscito finalmente per comprarsi, come prima cosa, un disco dei Devo. Gli esprimo la mia, sincera e inesausta, ammirazione. Fuori dal fornaio, dalla gelateria, dalla cartoleria, alla fermata dell’autobus, dalla farmacia, la coda. Prepariamoci, questa sarà la vera costante dei prossimi tempi: la coda. Uno alla volta, dentro, e fuori ad aspettare distanziati. Non era così, prima, perché i pochi esercizi aperti consegnavano per lo più a domicilio. Non pensate di averci già fatto l’abitudine. Ora le persone vanno direttamente a prendersi le cose, positivo, ma la conseguenza ovvia è la coda. E lo sarà per un bel po’. Che ironia, anzi che sarcasmo ha il Caso: costringere alla coda la popolazione al mondo che è più incapace di farla. Se questo non è genio io davvero non so cosa altro sia. Viva il Caos! Ehm, il Caso.

La signora T., i signori C. e D., la signora H., il signor E. e il signor F., tutti fuori. Una passeggiata, lunga o breve, ma fuori. Dopo due mesi, è pure una giornata splendida, qualcuno in salita, qualcuno in piano e breve, qualcuno in piano e lunga, qualcuno in bici. Ma, ripeto: fuori. A trovar congiunti? A far del moto? A far di necessità urgenza? Non importa, l’importante è uscire. Fuorire, anzi. Fluttuare tra le mille attrattive desiderate che stavano tutte fuori, erano lì e si potevano vedere ma non toccare. Ora sì, quindi qualcuno che torna con un mazzolino di fiori, e manda fotografie, qualcuno è andato dal fornaio perché è la prima spesa autonoma da molto, qualcuno ha effettivamente visto qualche congiunto, qualcuno ha scoperto che non si è rattrappito poi tanto. Anche stavolta non avevo capito, pensavo sarebbe stata una timida riapertura per cui non avremmo avuto grandi differenze da prima – qualcuno scherzava: la Fase Due è come la Fase Uno ma con la suocera – e facevo da pompiere a chi diceva che «dal 4, ah sì, tutti liberi». E invece no, era proprio così. Molte volte in questi mesi ho fatto previsioni, ho letto decreti, ho immaginato sviluppi e, in sostanza, visti gli eventi mi sono accorto una volta di più di non capire un accidenti. Le previsioni errate, i decreti non compresi, gli sviluppi mai sviluppati, magari tolgo «analista» dal curriculum. Le stelle, torno all’inizio di questo minidiario, pian piano ci lasceranno, almeno noi condannati padani, sepolte gradatamente sotto una coltre di smog che ci metterà poco a tornare. Non sto dicendo che la quarantena era meglio, sto dicendo – e non da oggi – che sarebbe bello un mondo attivo, vivace, produttivo anche, in cui si possano vedere, comunque, le stelle. Impossibile?

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 58

  1. In principio era il 4 maggio

    E arrivò infine il 4 maggio. Stamattina, come da programma, ho aperto la finestra di camera mia e il traffico fuori era aumentato, perbacco se era aumentato. Quanto? Non so dire di preciso, ma a spanne – si diceva con un amico – almeno tre o quattro volte la media precedente. Non stiamo ancora parlando di un ritorno alla normalità ante-covid, però la differenza si percepisce eccome. Quanto poi alle persone in giro a piedi, non c’è nemmeno paragone.
    Nel pomeriggio, dopo un po’ di riluttanza e rassicurato dal report del mio coinquilino, mi decido a uscire e a percorrere uno degli itinerari per me consueti verso il monte cittadino. Incontro diverse persone, sia nella zona cittadina che in quella collinare. Per lo più si tratta di persone civilissime: la mascherina è pressoché sempre presente, e se non è indossata costantemente lo è appena si avvista un’altra persona sul proprio percorso. Molto bene, mi dico. Non è così sempre, però. I casi più vistosi di deroga sono i corridori e i ciclisti, badando bene a precisare che non mi riferisco a coloro che pratichino singolarmente i relativi sport, ma ai gruppi: già da sempre tipicamente molesti, nemmeno adesso rinunciano al loro chiassoso cameratismo, che ovviamente è refrattario alla mascherina e a ogni distanziamento. A loro confronto, provo quasi simpatia per il gruppetto di adolescenti che si ritrova a condividere una sigaretta nella quiete di un roccolo: trattasi sempre di infrazioni pericolose dal punto di vista epidemiologico, ma almeno quest’ultima ha le sembianze della furtività e denota consapevolezza dell’illecito; la prima, viceversa, potrebbe essere adottata come icona dell’idiozia.
    Per parte mia, conscio della possibilità che il virus fluttui liberamente e che ogni incontro possa esserne vettore, sono uscito di cara con una FFP2 che dovrebbe schermare sia in entrata che in uscita. Al netto di una certa difficoltà ad ossigenare (ma qui, più che la mascherina, c’entra il mancato allenamento: quello con la forchetta e il bicchiere conta a rovescio), la protezione mi ha consentito un certo relax, per quanto poi mi sia sempre scostato il più possibile in occasione dei non pochi incroci.
    Devo ammettere che dopo tutti questi giorni passati in casa, godere per un paio d’ore dei colori e dei profumi di questa primavera è stata un’esperienza inebriante, non intaccata dalla scemenza di qualche irrecuperabile che pure ho incontrato sulla via. Del resto, troppo spesso in questi giorni, quando leggo il titolo di una notizia sui social, mi è capitato di guardare la fonte per capire se si trattava – che so? – di Repubblica oppure di Lercio ed è difficile pensare che la realtà sia tanto diversa da tante sue rappresentazioni.
    Frattanto sembra che da questo mercoledì in Lombardia saranno disponibili esami sierologici a pagamento per verificare la presenza degli anticorpi al covid. Chi ne risultasse dotato, dovrà fare il tampone per vedere se è ancora positivo. Questo dovrebbe consentire un’ulteriore mappatura del virus, ma si tratta (almeno per il primo step) di procedure volontarie e (per ora) a pagamento, in attesa peraltro che la regione ne attesti il valore legale: quanti ne approfitteranno per togliersi il pensiero e quanti invece eviteranno di farlo per timore di essere poi bloccati a casa a tempo indeterminato (altro infatti è il test sierologico, magari a pagamento, altro è il tampone in caso di positività…)? Il seguito alla prossima settimana…

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