minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 52

Dal punto di vista dei viaggi, tra le altre cose, la situazione è grigia. Non dico andare in Malesia, dico andare a Reggio Emilia. Ancora nessuna possibilità di travalico dei confini regionali, tanto meno quelli comunali se non per comprovate esigenze lavorative o urgenti, e le possibilità di spostamento in città sono regolate allo stesso modo. I mezzi pubblici possono essere utilizzati ma a patto del distanziamento sociale, il che equivale a dire che viaggiano al massimo al venticinque per cento della capienza, con adesivi sui sedili per comunicare il «qui-si-può» e il «qui-no». La stessa metropolitana compie viaggi per poche decine di persone per treno, a star stretti.
Viaggiare è per me non solo un piacere e uno svago ma un’attività connaturata a me. Significa anche solo andare a visitare la chiesina all’angolo o il paesello a otto chilometri da dove vivo se ho un paio d’ore libere. È un’attitudine alla scoperta del mondo, è un desiderio di conoscenza e di organizzazione dello spazio e del tempo o, più banalmente di fianco e non in alternativa, curiosità irrefrenabile. Ovvio che mi manchi, più di molte altre cose. Per ovviare, sulla mappa immagino itinerari che vorrei fare non appena possibile. Oggi, per esempio, stavo esplorando l’alto Lazio: sono partito da villa Farnese a Caprarola per poi spostarmi a costeggiare il lago di Vico, visitare poco più a nord la faggeta e l’orrido in località Pozzo del diavolo, mi sono poi spostato di pochi chilometri a San Martino al Cimino, all’abbazia cistercense in particolare, per seguire le tracce di donna Olimpia; ho proseguito per Viterbo, il palazzo dei papi in particolare, poi appena fuori il santuario di Santa Maria della Quercia e villa Lante a Bagnaia. Potrei arrivare, a questo punto, a Bomarzo, a visitare il parco dei Mostri e a mangiare a Marta, sulle rive del lago di Bolsena. Il tutto in una trentina di chilometri al massimo, che meraviglia. Non da oggi, segno su mappa i luoghi che mi interessano, così da essere pronto quando organizzo un viaggio, breve o lungo che sia. Chiaro che in questo periodo la mappa si stia arricchendo di parecchi segnalini, con una certa pena al pensiero di non poterne togliere. Eccola qui, a oggi:

A proposito di viaggi, oggi mi ricordo di possedere un’auto. Cinquantadue giorni che è ferma, sotto una bella coltre spessa di polvere gialla, che sbadato. Mi avvicino timoroso e, dopo una timida prece e un rimprovero a me stesso, provo e per fortuna parte, con una nuvola grigia. Non è fortuna di tutti, molte batterie sono andate, in queste settimane. L’accendo e faccio due giri attorno all’isolato, come da prescrizioni, anche per non rimetterla nella medesima posizione, causa gomme. Oh, le gomme! Da cambiare, appena possibile, perché tenerla ferma con le gomme invernali, parbleu, non è cosa. Il che, sempre seguendo un filo di pensieri a macchia di leopardo, mi fa venire in mente che sono stati prorogati i termini per il cambio delle gomme. E vorrei ben vedere, ma ciò che mi importa dire qui è che in questi mesi sono slittate anche tutte le scadenze, causa evidente clausura: spostati i termini di consegna delle dichiarazioni dei redditi, del pagamento dei contributi, di tutti i documenti scaduti, dalle patenti alle carte di identità, tutto in là verso una speranza di vita normale quanto prima. All’inizio della pandemia ogni cosa, dai concerti alle scadenze fiscali, è stata spostata di poco in avanti, di un mese, allora non potevamo concepire di più. Poi, ad aprile, si è cominciato ad allungare i termini di due mesi o più, ora l’orizzonte per le scadenze va ampiamente verso l’autunno. Chissà se basterà. Perché anche le ultime notizie non sono confortanti: in Francia si sono ricreduti sull’ipotesi – incauta – di riaprire le scuole l’undici maggio e hanno posticipato al vedremo, in Germania pare che si vedano i primi effetti della riapertura nel senso che l’indice di contagio (quante persone infetta una persona) è risalito in pochi giorni da 0,7 a 1*. Pessima notizia, perché le nostre decisioni future dipenderanno da ciò che succederà nelle prossime settimane e siamo in attesa di vedere gli effetti concreti della timida riapertura di questi giorni, che sta riportando al lavoro circa 2,9 milioni di persone. Prudenza, quindi, è la parola d’ordine e il governo ben sta tenendo la barra, anche se i colpi inferti in queste ore sono consistenti: molti ciurlano nel manico, dalla CEI alla Lega, e spingono per le riaperture più per indebolire Conte che per altro o per tornaconto personale, vedi lo scontro CEI-papa. Il dossier in mano al governo riporta dei conti abbastanza precisi: per esempio, alla riapertura delle scuole corrisponderebbero circa cinquantamila persone in terapia intensiva, il triplo in caso di riapertura totale. Considerando che, con gli ampiamenti degli ultimi due mesi che hanno circa raddoppiato i posti, in Italia ci sono poco più di novemila posti letto disponibili, i conti sono presto fatti. Tenere chiuso, con buona pace di tutti.

I giorni precedenti:
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* Aggiornamento del 29/4.
Pare che la situazione in Germania sia, anche stavolta, mal riportata. Pare che il valore sia 0,9, cioè ancora quello precedente alla riapertura. Inoltre, il tutto andrebbe valutato nel tempo. Il virologo Jonas Schmidt-Chanasit, del Bernhard-Nocht-Institut für Tropenmedizin di Amburgo, ha spiegato che l’R0 «non si dovrebbe sopravvalutare» e che va tenuto presente il «quadro generale, cioè il numero di persone gravemente ammalate e la capacità degli ospedali e delle terapie intensive», dati che attualmente in Germania sono piuttosto rassicuranti.

Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 52

  1. Anatomia della clausura

    Dopo cinquanta e passa giorni di clausura, a fronte di un miglioramento della situazione (ospedaliera e non) derivante dal covid che è stato preludio a un allentamento nel complesso assai blando delle restrizioni personali, in molti hanno già iniziato a porsi delle domande (e a darsi delle risposte) che vanno al di là delle norme giuridiche vigenti, e se del caso anche in contrasto con esse.
    La stagione dell’obbedienza diffusa presso i privati, ottenuta essenzialmente grazie alla paura – paura sia del contagio (quando dilagava), sia delle sanzioni, non sempre in quest’ordine –, sta progressivamente lasciando il campo al regno del compromesso pratico, dove dal 4 maggio in poi il diritto sarà come spesso accade soltanto uno degli elementi della decisione, e nemmeno il più importante.
    Una volta raggiunto (lecitamente) a casa sua il proprio “congiunto”, ci si tratterrà anche a cena, quindi per forza di cose (illecitamente) senza mascherina? Potendo a questo punto effettuare (lecitamente) attività motoria anche oltre i 200 metri dalla propria abitazione, si resisterà o meno alla tentazione di allungarci (illecitamente) a casa di un amico per una chiacchiera e un aperitivo? Avendo la possibilità di raggiungere (lecitamente) la propria casa al mare o al lago per effettuare delle manutenzioni, si vorrà magari restare (illecitamente – a quel che sembra) per un periodo più lungo o magari addirittura a tempo indeterminato?
    Sono solo alcuni dei quesiti che in questi giorni molti italiani si pongono ed è ancora presto per vedere quali saranno mediamente le loro reazioni. Quel che mi par certo è che saranno assai differenziate, in rapporto a molti fattori: personalità dei singoli soggetti (più o meno incline al rispetto della legge in quanto legge, più o meno estroflessa, più o meno disposta al rischio), stress accumulato nel periodo di isolamento, tipo di isolamento, percezione del pericolo e avanti in questo modo.
    Si tratta di un dato naturale e del resto non è un caso se nelle stime che il Governo utilizza per predisporre le sue misure si debba sempre calcolare l’impatto di una norma calcolando non la sua piena osservanza da parte dei destinatari, ma la sua verosimile osservanza media, che ovviamente è molto più bassa.
    Più di quanto non capiti solitamente, tuttavia, l’osservanza o l’inosservanza di una norma (giuridica, ma anche prudenziale) da parte del nostro prossimo verrà a ripercuotersi, direttamente o indirettamente, anche su di noi, sulle nostre scelte e sui nostri programmi. Per valutare se eventualmente incontrarsi o meno con Tizio o con Caia, infatti, sarà decisivo sapere come lui o lei si saranno a loro volta comportati in altre circostanze più o meno simili. Altra cosa, infatti, è vedere una persona che da settimane è sempre isolata (supponendola asintomatica, il rischio di contagio è evidentemente bassissimo), altra cosa vedere una persona che è uscita saltuariamente per andare al supermercato con mascherina (rischio medio-basso), altra cosa ancora sarà vedere una persona che dal 4 maggio in avanti riprenderà, sia pure blandamente, a incontrare altre persone in occasioni conviviali (rischio medio, che può però diventare alto se i contatti sociali aumentano).
    Sarà inoltre importante calcolare in anticipo con quali persone si vorrà, o a maggior ragione si dovrà, entrare in contatto (e con quali modalità): quanto più esse siano soggetti a rischio, tanto più il nostro comportamento dovrà essere costantemente prudente nell’evitare contatti con altri soggetti che possano essere involontari vettori del virus e nel rispettare distanza di sicurezza e dispositivi di protezione personale durante gli incontri.
    Insomma, paradossalmente ma non troppo, il recupero (anche quello “fuorilegge”) della socialità sarà più facile per coloro che si trovano in buone condizioni di salute e in una “giovane” fascia d’età, ma esclusivamente a patto che non entrino mai in contatto con soggetti a rischio. Sennò nisba, sono equiparati in tutto e per tutto agli anziani, per i quali si prospettano periodi di isolamento sociale davvero ancora difficili da prevedere.

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