minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 50

Diobono, cinquanta giorni. Cinquanta giorni che non bevo un cappuccino al bar. Ma oggi c’è il decreto, stasera c’è Conte. E allora sì. Ormai è una corsa parossistica: si potrà andare a innaffiare gli orti, anche quelli degli altri; si potrà andare nelle seconde case ma solo nelle proprie; si potrà andare in giro, sì, ma con giudizio; si potrà divertirsi sì, ma con la testa; si potrà fare il bagno ma solo chi abita a tre metri al mare o su chiatte galleggianti; si potrà fare sport liberamente; si potrà andare a Cuneo il giovedì; si potrà volare col parapendio ma non in luoghi affollati; si potrà andare al ristorante ma solo ordinando il secondo; si potrà spostarsi in un’altra regione ma solo su mezzi a due ruote; sarà possibile comporre madrigali e mottetti in luogo pubblico purché accompagnati dalla cetra; si potrà compilarsi da soli l’autocertificazione; riapriranno i cinema e le case chiuse; ci sarà la pace fiscale e quella edilizia e sarà tre volte natale e festa tutto il giorno; si potrà, infine, andare in vacanza ma solo con il camper o la roulotte. Ecco, non sono tutte affermazioni così lontane da quanto si sente in questi giorni: fuffa all’ennesima potenza, dato che non si è vista l’ombra di una bozza di decreto o qualche indicazione in merito, tranne un’improvvida dichiarazione di non si sa chi a nome del governo sul bagno al mare.
Vedremo. Nel frattempo, si registrano da una parte la prosecuzione delle celebrazioni per il venticinque aprile – perché ci vuole tempo a caricare i video sui siti, visto che quest’anno si è festeggiato così – e dall’altra parte, la parte sbagliata, circolano purtroppo i soliti commenti volgari, gli sfregi alle lapidi e alle tombe, qualche povero idiota in cerca di risonanza. D’altronde, se più di duemila anni fa Erostrato fece quel che fece, non vedo perché oggi il livello dovrebbe essere più alto. E tra tutti i mentecatti segnalati, quest’anno vince il premio ‘Idiozia e Schifezza’ la vicesindaca di Rivoli che, in un video ipercasalingo sul balcone, esprime i propri pensieri in libertà, pensando di essere spiritosa e simpatica, su «Bella ciao» e la Resistenza. E ora il gioco: indovina il partito della vicesindaca e vincerai niente, perché è troppo facile.

Con tipico atteggiamento italiano, ovvero perennemente oscillante tra indifferenza ed esagerazione senza tappe intermedie, siamo diventati il secondo paese al mondo per il numero di tamponi eseguiti. Nulla per un sacco di tempo e poi da niente a mille in dieci secondi. Il che è curioso perché se prima era sciocco non farli, ora ci saranno di certo persone che hanno fatto decine di tamponi e chi, come me, no e non sa nemmeno che aspetto abbiano. Il presidente del consiglio assicura che ci sarà un prezzo calmierato sulle mascherine, cinquanta centesimi a pezzo, e se ne trovano ancora poche, e allo stesso tempo emerge che Irene Pivetti – vorrei ricordare: ex presidente della Camera. Indovina di che partito? – faceva parte di un traffico per importare milioni di mascherine cinesi non a norma per la protezione civile, con un patto riservato che le permetteva di trattenerne una parte e rivenderle da sé. Molto bene. Ora non resta che aspettare Conte, stasera, e vedere cosa si potrà fare e cosa no. Non vorrei fare il gufo ma prevedo delusioni diffuse e piovaschi.

I giorni precedenti:
giorno 49 | giorno 48 | giorno 47 | giorno 46 | giorno 45 | giorno 44 | giorno 43 | giorno 42 | giorno 41 | giorno 40 | giorno 39 | giorno 38 | giorno 37 | giorno 36 | giorno 35 | giorno 34 | giorno 33 | giorno 32 | giorno 31 | giorno 30 | giorno 29 | giorno 28 | giorno 27 | giorno 26 | giorno 25 | giorno 24 | giorno 23 | giorno 21 | giorno 20 | giorno 19 | giorno 18 | giorno 17 | giorno 16 | giorno 15 | giorno 14 | giorno 13 | giorno 12 | giorno 11 | giorno 10 | giorno 9 | giorno 8 | giorno 7 | giorno 6

Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 50

  1. Ecce decretum

    E arrivò infine il giorno del nuovo, attesissimo DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri). Dopo settimane di speculazioni deliranti, trascorse in buona parte a passare in rassegna le più colossali sciocchezze, in ciò peraltro ben coadiuvati da una stampa sempre più dedita al gossip, non resta che ascoltare dalla viva voce del Presidente quel che ci tocca in sorte.
    Primissima serata: 20.30, ovviamente a reti unificate. L’aura liturgica della comunicazione è tale che appena Conte appare al centro dello schermo è come se fosse accompagnato dai madrigali di Monteverdi.
    Lo stile non è stato il massimo: un profluvio di “permettiamo”, “vietiamo”, “concediamo” e così avanti, ormai del tutto dimentico del fatto che, dal punto di vista formale, i suoi decreti sono atti che in nessun caso potrebbero sospendere diritti costituzionali, ma tant’è. Nella sostanza, direi senza infamia e senza lode.
    Non si è partiti fin da subito con soluzioni differenziate a seconda della gravità della situazione nelle singole regioni, come a mio avviso sarebbe stato non solo auspicabile, ma addirittura necessario. Per come la capisco io, dal governo centrale non hanno voluto prestare il fianco alle critiche che sarebbero immediatamente giunte dalla Lombardia, pur riservandosi il diritto di riconsiderare lo sviluppo dei contagi nei giorni a venire e con esso anche le misure da prendere a livello locale. Ci può anche stare, anche se mi sembra che questo avalli ancora di più la tesi del “proviamo e stiamo a vedere”, che non mi pare una grandissima strategia, a conferma del fatto che le idee sono ancora molto poco chiare.
    Al tempo stesso, non è però neppure arrivata l’apertura generalizzata che molti si attendevano, a onor del vero molto più sull’onda dell’entusiasmo e dei propri desideri che in forza di qualche riflessione. Le differenze rispetto a prima, com’era se non prevedibile per lo meno auspicabile, sono pochine: al di là della riapertura di alcuni settori produttivi e dell’approvazione dei relativi protocolli di sicurezza, viene meno il divieto di lasciare il proprio comune se non nei casi di “assoluta urgenza”, si può svolgere individualmente attività motoria e sportiva anche lontano (= non in prossimità) dalla propria abitazione ed è considerato “necessità” anche andare in visita ai propri “congiunti” (ma sempre mantenendo un metro di distanza e indossando la mascherina).
    Qui si è subito scatenata la ridda delle interpretazioni, perché l’espressione non ha un valore giuridico chiaramente definito. Leggo che la task force di Palazzo Chigi avrebbe convinto Conte citando un precedente giudiziario della Cassazione dove si ritenevano tali non solo i parenti ma anche i “fidanzati” non conviventi: la spiegazione, se vera, è da barzelletta. Questo non soltanto perché la nozione di “relazione stabile” che poi si è provato ad adottare per chiarire meglio la cosa ha generato più problemi di quanti non ne abbia risolti (piccola notarella: con gli amici non si ha a volte una relazione molto più stabile e duratura di quella che si sviluppa con certi familiari e fidanzati?), ma perché a quel punto era meglio adottare una definizione all’interno dello stesso decreto ed evitare ogni dubbio.
    Tra i commenti che ho letto più spesso c’è il “mi aspettavo di più” (o simili): bene, ma “di più” in rapporto a cosa? Alle proprie aspettative o alla situazione reale? Perché a me pare che le due cose non solo siano molto diverse, ma per molti aspetti addirittura contrapposte: le aspettative erano una sorta di “liberi tutti”, la situazione percepibile dai dati a disposizione, viceversa, sembrava suggerire una cautela ancor maggiore di quella poi adottata dal Governo, comprensibilmente mosso dall’esigenza di contemperare le ragioni della prudenza sanitaria ed epidemiologica con quelle dell’economia e della pace sociale. Ad ogni modo, ancora per un po’, niente cene con gli amici (quelle anticipate ancora domenica da La Stampa di Torino, non proprio dal Corriere del mio cortile, che riferiva di indiscrezioni dal vertice notturno del Governo) e niente grigliate al lago nel weekend. Salvo che uno non ci abiti già, è ovvio; in quel caso concediamo anche di fare il bagno, a patto che la stanza da letto sia rivolta verso il pontile.

Rispondi a Federico Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *