minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 48

Manca una settimana al 4 maggio, che è la data indicata come l’inizio di una timida riapertura, come già detto, e invece l’aria che tira è l’attesa del giorno del condono carcerario, dell’assoluzione plenaria, dei supersaldi di gennaio. Tutti fuori, tutti liberi, e avanti tutta. Al lago, al lago, al mare, al mare, ma noi non abbiamo il mare. Ah, beh, adesso no, ma dopo il 4. Ah, il 4. Non solo, anche le persone più timide si interrogano se proseguire o meno con le abitudini assunte in via precauzionale in questi cinquanta giorni: continuerò a farmi portare la spesa? Potrò uscire di casa? E per andare dove? Già, tutti bei programmi e belle domande. Se la fase della chiusura era stata complicata, questa lo sarà ancor di più, non vorrei essere nei panni di chi dovrà far rispettare i decreti. Perché se là c’era il timore della pandemia, della malattia e la spinta dell’emergenza, qui c’è la spinta individuale verso i propri obbiettivi, da quelli più sciocchi a quelli più intimi e necessari. Ma non mi incazzerò, non stavolta, non voglio e non devo. Volete fare le feste? Fatele. Volete lavorare come dei matti perché vi siete accorti che a casa con la vostra famiglia, che vi siete creati con tanta dedizione, vi rompete le balle? Lavorate. Volete recuperare tutto il tempo perduto facendo tutte insieme le cose cui avete rinunciato? Fatelo. Volete ricostruire rapidamente il vostro habitat edenico fatto di palestra, catechismo del bambino, non-ho-mai-tempo-per-nulla, fast food, code in tangenziale, sbiancamento dei denti? Prego. Tanto non andavamo d’accordo prima, non andremo d’accordo ora, inutile che mi incazzi. Non sta a me dire cosa si debba fare e cosa no, ho ovviamente le mie opinioni ma sono anche poco certo che questa volta siano corrette. Staremo a vedere, forse tutta questa frenesia non ci sarà, forse sarà tutto più oculato e gestito, forse sì forse no. Forse tutto questo sarà una solenne cappellata e i contagi risaliranno velocemente, forse mantenendo le distanze e alcune precauzioni no. Siccome io non lo so, e ho il sospetto che nessuno lo sappia, andiamo a vedere. Certo, spero che il capo della commissione che consiglia Conte sulle misure da prendere, Vittorio Colao, essendo un manager esperto di grandi aziende, spero dicevo sia bilanciato da figure di scienza di valore che pongano le cose nella giusta prospettiva. Altrimenti è solo ripresa, economia, fatturato e PIL. Che non dico non si debba tenere in conto, dico che vada considerato nella giusta misura. Cioè secondario rispetto alla salute pubblica, senza alcuna discussione. Seee.

L’impressione che ho, e che mi infastisce, è di non avere una guida ferma, coerente e avveduta, quanto di essere in balia della spinta dei più, di chi rivuole la propria libertà individuale, di chi legittimamente rivuole i propri mezzi di sostentamento, di chi ciurla nel manico, di chi ha altri interessi e cui non importa nulla della collettività, di chi ne sta approfittando, di chi non ha capito e si mette in fila. È ciò che accade normalmente, ossia le decisioni vengono prese sotto la spinta di gruppi di interesse eterogenei che condizionano sia l’agenda che le risoluzioni. Ovvio. Diciamo che questa volta, però, in cui il mio animo suggerirebbe ancora cautela e prudenza, in realtà si trova legato ai destini collettivi e mal si accorda a questa situazione, mi tocca subire. Questo mi pesa, sì. Spero me valga la pena, da un lato, e dall’altro non mi stupirei se le cose poi andassero in altra maniera rispetto a quello che penso. Non sarebbe certo la prima volta. Anzi, è ciò che accade quasi sempre.

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3 commenti su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 48

  1. Paradisi artificiali?

    Tutte le innumerevoli fotografie dei vari animali che percorrono liberi e felici le strade, i canali, i giardini o i litorali di qualche città deserta fanno venire, a me e scommetto non soltanto a me, una voglia matta di “vacanza”. Comico, no? Per certi versi siamo nella vacanza forzata più lunga da non si sa quanto a questa parte. (Cioè, non proprio. Io mi sento quasi sempre in vacanza, ma diciamo che questa è un’altra storia: transeat). Mi fa venire in mente un film cult della mia infanzia, Mediterraneo, dove un gruppo di soldati italiani, durante la Seconda guerra mondiale, finisce abbandonato su una bellissima isola greca e alla fine uno di loro si innamora di una prostituta locale e non vuole venire più via.
    “Si sono dimenticati di noi? Io voglio dimenticarmi di loro”, dice l’attendente Antonio Farina nascosto in una botte di olive in salamoia al sergente maggiore Nicola Lorusso che lo sprona ad uscire e ritornare in patria per “rifare l’Italia”. E anch’io mi sento tentato di rintanarmi, idealmente e magari anche geograficamente, nella solitudine edenica di qualche località amena e dire come Cederna/Farina: “Io rimango qui”. So che si tratta di una fuga dalla realtà, ma in questo momento la realtà non appare particolarmente allettante, e in un certo senso andrebbero non sarebbe male sostituirla – almeno per un po’ – con un qualche angolo di paradiso, naturale o artificiale che sia. Poi sento Abatantuono/Lorusso che mi dice: “In un barile d’olive? Su un’isola deserta? Questa sarebbe la tua dimensione?” e allora mi dico che forse no, non è ancora il momento di tirare i remi in barca o comunque non è ora il momento di deciderlo.
    La domanda comunque resta, ed è quella sul “che fare?” che in un qualche modo è come chiedersi quale senso si vuol dare alla propria vita: il “dove andare?” è solo un corollario e il covid non fa altro che attualizzare, rendendolo più vivo e impellente, un quesito che accompagna (o per lo meno dovrebbe accompagnare) ogni passo della nostra esistenza. Ho sempre pensato che andarsene da qualche altra parte, semplicemente, non fosse una risposta e che i propri problemi uno se li porta dietro ovunque; e resto anche convinto che il viaggio si possa fare in tanti modi, non soltanto spostandosi fisicamente; mi domando se alla luce di quanto sta succedendo non valga la pena di riconsiderare l’importanza della propria ubicazione, e più precisamente della bellezza intrinseca del luogo dove si trascorre il tempo, tra i vari fattori di una possibile scelta.
    Riassumendo: l’estetica del luogo non è un valore esclusivo o assorbente rispetto a tutti gli altri (servizi, costi, comodità, etc.), ma certamente in certe circostanze “pesa” molto più che in altre. Se si deve restare bloccati in una casa dove si può solo guardare dalla finestra, insomma, anche quel che si vede dalla finestra non è più un aspetto marginale e un muro grigio a dieci metri non equivale a una vetta dolomitica o al profilo di Lipari che si staglia dopo un breve braccio di mare. E se poi si riuscisse anche ad avere la possibilità di fare due passi all’aperto, beh…
    Per un altro mese almeno, comunque, di lasciare la propria regione non se ne parla proprio (per fortuna, aggiungo io), ma intanto il pensiero è lì e può essere lasciato a sedimentare, insieme ai profumi e ai rumori di bosco o di spiaggia al momento solo immaginati. Al massimo una scappata al lago per qualche giorno, giusto per un primo test?

  2. e mai, mai una parola sulla triste sorte degli amori clandestini. Ormai, l’Amore al tempo del colera se lo sono imparato a memoria. E incominceranno a pensare che, forse, il covid19 è la congiura meglio riuscita dei coniugi legittimi, oltre che la migliore delle occasioni per farla finita con le stupide storie di adulterio.

  3. Hai assolutamente ragione: quante storie, minime e massime, legate a questa situazione limite, quanta lontananza e la troppa vicinanza tutte insieme. Ne riparliamo, ne ho due o tre da raccontare. Tu?

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