minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 46

Amazon ha un problema e se avete visto la loro homepage forse vi siete accorti che c’è qualcosa di strano: non promuove alcunché da comprare, a differenza del solito. Sì, per carità, qualche libro, delle calze ma, in sostanza, invita a sostenere la protezione civile, pubblica le misure che l’azienda ha preso nei confronti dei dipendenti, mette in evidenza i programmi su Amazon Prime, ma niente da venditori. Perché? Perché sta vendendo troppo. +23% nel primo trimestre, e in quello la clausura è stata meno di un terzo del periodo, figuriamoci cosà succederà nel secondo timestre. E, infatti, vanno cauti, già la struttura è sotto pressione. Poi, tanto, i soldi veri Amazon non li fa dal mercatino delle piciottate e, quindi, soddisfatti così. Chi, invece, si trova in una situazione opposta sono i produttori di petrolio: il prezzo del petrolio al barile è sceso sotto zero. Non è un modo di dire, è negativo. Giuro che questa non mi sarei mai sognato di vederla. Il prezzo è negativo e se volessimo fare una battuta potremmo dire che pagano loro chi si piglia il petrolio. Sarebbe una battuta ma non è mica tanto lontana dalla situazione reale. I governatori delle regioni più compromesse, Lombardia, Veneto e Piemonte, tutti leghisti, insistono per la riapertura rapida e diffusa, senza troppo preoccuparsi delle condizioni attuali e delle conseguenze. Posto che la cosa non rientra tra le loro prerogative bensì è appannaggio del governo, la cosa più sensata, per una situazione diversificata, sarebbero soluzioni diversificate: il Molise che ha un contagiato apre, la Lombardia no, poco poco. Assurdo? Ovviamente no ma questo significherebbe mettere il dito nella piaga leghista e non permetterebbe all’ampio bacino elettorale della Lega di far finta di riaprire ciò che non è mai, e dico mai, stato chiuso (a parte bar e ristoranti che, porelli, erano troppo esposti per far finta di nulla). Per ora, azzardo, vedremo una timida riapertura alle stesse regole per tutti, e poi si vedrà. La cosa buffa è che c’è un sacco di gente piuttosto convinta che il 4 maggio ritornerà alla vita normale, a lavare l’auto il sabato, a vedere la partita di domenica, a fare sesso il martedì e il giovedì sera (beh, quello è già possibile entro i confini domestici), ad andare a pranzo dalla mamma il sabato o la domenica e il mercoledì sera calcetto o amante. O tutt’e due. Mi spiace, cari, mi spiace proprio, resterete mooolto delusi e amareggiati. Si parla di riapertura del settore manufatturiero, edile e non so che altro, ma tre al massimo. I campi da calcetto temo non siano contemplati. Milano ancora cresce, Brescia e Bergamo pur calanti sono instabili, si registra una diminuzione positiva dei casi gravi, ossia quelli in cui l’infezione degenera in un disastro polmonare, e le cause potrebbero essere molteplici, a partire dalla maggior efficacia dei trattamenti fin dal primo momento al fatto che il virus si sia attenuato, difficile dirlo per me che di professione non faccio il medico ma l’accordatore di organi di chiesa.
Da quando i dati hanno cominciato a mostrare una sensibile curva verso il basso, il peso della clausura non è diminuito ma è diventato più giustificato, in presenza di risultati. È chiaro che quarantasei giorni sono ponderosi sulle nostre spalle e la stanchezza galoppante ma è sentimento diffuso tra le persone consapevoli che tale sforzo non debba andare sprecato con mosse avventate, anche se questo atteggiamento ci costerà certamente tempi più lunghi. Vinceranno le persone consapevoli o gli sciamannati, stavolta? Tocca vedere le prossime puntate.

Per quanto riguarda me, le cose hanno preso un certo ritmo costante, i giorni feriali impegnati tra spese e consegne, i festivi talvolta pure o dedicati a pulizie e scrittura, le incazzature ci sono ma sono lì, in un angolo, e il fatto di vedere un tangibile miglioramento ha dato un senso non opinabile all’impegno che si siamo assunti tutti, o quasi, e ha sopito alcuni timori inconfessabili. Ho preso un ritmo, se si trattasse di proporre un’immagine e fossi una persona molto colta, potrei dire che la sequenza dei battiti cardiaci di questi giorni è diventata, finalmente, euritmica. Non che non desideri fare altro, anzi, salterei sul primo interregionale e andrei a visitare persino Rosignano Solvay, Marghera, Dalmine, Giussano, Gioia Tauro, Reggio Calabria, e ne sarei contento. Ma al momento i giorni scorrono senza momenti particolarmente bassi, il che mi sta bene date le condizioni. Il fatto che non legga giornali né ascolti conferenze stampa o notiziari probabilmente aiuta.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 46

  1. La vida es sueño

    In questi giorni riscontro un clima surreale, quasi natalizio: non sapendo cosa davvero arriverà il 4 maggio, tutti (oddio, non proprio tutti, ma ci siamo capiti…) se ne stanno a casa aspettando di vedere quali regali si materializzeranno sotto l’albero. L’unica cosa su cui tutti concordano della fase 2 sembrerebbe la necessità di portare le mascherine, di mantenere una certa distanza di sicurezza (c’è chi dice l’ormai proverbiale metro, chi un po’ di più) e più in generale un atteggiamento “prudente”. Fin qui – incredibilmente – ci arrivavo anch’io. Il punto è che, assai più frequentemente di come mi sarei immaginato, le persone con cui parlo non sembrano pensare ad altro e immaginano – perdonate il bisticcio – che le limitazioni si limiteranno a questo, salvo forse non poter tornare subito a fare la colazione al bar o alle serate in discoteca. La prospettiva di potersi lasciare alle spalle questo periodo, com’era comprensibile, offusca la mente e proietta fuori dalla finestra il mondo dei desideri, dove anche l’architettura più sgangherata diviene magicamente euritmica. Forse aveva davvero ragione Calderón de La Barca quando secoli fa scriveva che “la vita è sogno”.
    Non conosco nessuno più che segua con attenzione l’appuntamento delle 18 con la protezione civile, per non parlare delle conferenze stampa giornaliere della regione. I dati, per chi ancora li considera, si guardano più tardi, o addirittura il giorno dopo, più a titolo di vaga curiosità che per reale interesse a conoscere la situazione. Altro sintomo del fatto che ora come ora la valutazione politica sta riprendendo il suo spazio su quella tecnica.
    Gli ospedali sono più sgombri e non si parla più dei medici e degli infermieri come “eroi”, e anzi adesso (la notizia è di oggi, in quel di Lucca) si riscontrano addirittura episodi (per fortuna isolati) di insofferenza nei confronti del personale sanitario “per il covid che tutti i giorni ci porti” a casa. C’era da aspettarselo, statisticamente, da un Paese con la memoria sempre parecchio corta.
    Se dovessimo fare oggi (e probabilmente non è il caso) il punto della situazione, le riflessioni sul “ne usciremo tutti migliori” e “niente sarà come prima” farebbero un po’ ridere. Circa il primo aspetto, per lo meno nelle persone che conosco ho trovato essenzialmente delle conferme circa i tratti caratteriali che già conoscevo: magari anche ottimi, ma non particolarmente “migliorati” da questo episodio. Rispetto poi al cambiamento in meglio, posto che naturalmente anche con riferimento a ciò è troppo presto per esprimersi, non trovo traccia neppure di un accenno a qualche strategia di modifica “sistemica”. Sempre più mi convinco che se un mutamento ci sarà (non necessariamente in meglio, peraltro), sarà indotto da fattori oggettivi per lo più indipendenti dalla volontà soggettiva dei singoli e anche dall’autonoma volontà della politica.
    Negli ultimi giorni noto che ci sono attività che ora costano più fatica. Le videoconferenze o le riunioni online, ad esempio, hanno perduro la loro carica di novità e la loro efficacia nel distrarre dal rumore delle ambulanze, e adesso mi sembra che facciano solo perdere molto più tempo del dovuto. Lo stesso dicasi di molte telefonate, dove non si trova più di tanto da dire e che spesso (non sempre, per fortuna) vengono effettuate per inerzia, come abitudine residua dei giorni in cui erano anche una necessità per smaltire lo stress.
    Fortunatamente, anche rimanendo in questa condizione essenzialmente solitaria, ci sono sempre anche cose belle, che danno energia e allegria. Su tutto, il buon cibo (includo il vino), i film, i libri. Quando si combinano, allora davvero la vida es sueño.

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