minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 37

Bergamo e Brescia giù ma non tanto quanto ci si aspettava, Milano su. Quando sento l’assessore Gallera dire di «aver sentito sui social che c’è ancora troppa gente in giro per Milano» mi prende un giramento di balle che mi passerà tra giorni. Perché no, questo non lo accetto, anzi non accetto nessuna delle cose implicite ed esplicite contenute in una dichiarazione così: non è una frase che puoi dire a gente che è rinchiusa in casa da quaranta giorni. Vivaddio no, non solo non lo sai e devo pure venire io a Milano a tenere la gente in casa? Mavaccagare. Il problema è che comincio a temere che non abbiano idea di come stiano andando le cose né di come gestirle, il che mi getta in un cupo sconforto, perché io sto anche in casa, per carità, ma non sopporto di doverci stare un minuto di più perché chi dovrebbe governare la situazione non è in grado. Nella migliore delle ipotesi, perché il solo pensiero di doverci stare di più perché questi sbagliano mi manda in tilt. Meglio non ci pensi.
Epperò è anche difficile non pensarci, orcozzio. Perché secondo uno studio di Intwig, i contagi reali in Lombardia sarebbero 972mila, 20 volte più del dato ufficiale. I morti sarebbero 15mila, ossia il doppio del dato ufficiale. E allora? Allora è davvero difficile per me affidarmi e non pensare male. Capisco che il tempo dei processi verrà ma il nostro tempo, mi si perdoni la banalità formale ma non di contenuto, è qui e ora e bisognerebbe tenerne in massimo conto. Anche perché se vi giocate la fetta di popolazione di cui io faccio parte, ovvero quelli ligi alle regole, che mettono avanti tutto il bene comune e sono pronti a sacrificare quasi tutto per la collettività, se dicevo vi giocate quelli come me siete fritti, cari miei i leghisti lombardi. Uff.

Librai aperti per Conte, librai chiusi per Fontana. Leggendo le petizioni sottoscritte in rete da lettori di sinistra, io chiedo: ma siamo sicuri che ai librai gli si fa un favore a farli aprire? Ma chi ci va in libreria di ’sti tempi? Già le persone non ci vanno normalmente, figuriamoci ora. Al libraio, invece, tocca rimettere in piedi tutti i costi fissi (magazzino, dipendenti, pulizie etc.) che, almeno, stando chiuso contiene. Peraltro, occhio che adesso vado di idee mie in libertà, per quale motivo un gelataio resta aperto per le consegne a domicilio e un libraio no? Chiaro, serve iniziativa, se no amazon vince sempre. Per dire: consiglio del libraio di un libro al giorno (ma consiglio vero, non copia-e-incolla della recensione della casa editrice) su un sito qualsiasi, dieci righe ben scritte e accattivanti, non annoiate, sconto ai primi dieci che lo acquistano, consegna entro il giorno dopo. E avanti così. Si può fare? Secondo me sì, agilmente. Così il valore aggiunto della libreria in città o nel quartiere vince sul cattivo amazon che consegna sia pannolini sia libri sia dildi con lo stesso atteggiamento. Ma serve buona volontà, lavoro, studio, impegno. Ce l’avete, librai?

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 37

  1. Cercasi studio costi/benefici

    Com’era prevedibile, anche in altri Paesi si iniziano a leggere le notizie relative alle prossime “fasi 2”, con le relative riaperture, ovviamente non totali e improvvise, ma parziali, controllate e scaglionate. A partire da fine aprile, a quanto pare, si inizierà con qualcosa in Germania e forse in Svizzera, per poi passare forse all’Italia e alla Francia e così via.
    A dire il vero, l’idea di misure prese a livello nazionale e valide per tutto il territorio, per lo meno in Italia, mi sembrerebbe rasentare la follia, vista la situazione altamente differenziata riscontrabile anche dai dati provvisori (e ampiamente sottostimati) a disposizione. Si pensi alla Lombardia, dove ancora non si capisce cosa sia successo per davvero e per quali ragioni, che al momento sembrano ben lungi dall’essere note a chi la Lombardia governa a livello regionale. Ma si pensi anche al Veneto, dove al contrario le cose parrebbero andare così bene da consentire a Zaia addirittura di rendere più soft le misure restrittive prorogate fino al 3 maggio da parte del Governo (non capisco proprio come, tra l’altro, visto che il decreto legge che regola i rapporti tra le fonti del diritto ammette solo, eventualmente, misure più severe a livello locale).
    Ad ogni buon conto, quel che finora è del tutto mancato (o per lo meno ne è mancata la comunicazione al largo pubblico da parte delle autorità) è uno studio costi/benefici in merito alle varie attività che finora sono state vietate o limitate.
    Qual è il rischio connesso a lavorare nel tal settore, adottando un certo protocollo di sicurezza? Quanto si rischia ad andare a fare una camminata in collina usando la mascherina e mantenendo la distanza di sicurezza di un metro dagli altri? Quanto è stimato il rischio di non riuscire a mantenere la distanza di sicurezza? Quali sono i rischi o i danni connessi al non consentire queste attività per un periodo di tempo medio-lungo (come ormai è già quello della durata delle misure restrittive da covid)?
    Non sto affatto dicendo che siano domande facili, ma a questo punto credo che sia inevitabile porsele e che bisognerà rapidamente non soltanto ipotizzare delle risposte, ma anche far capire con quali dati e con quali ragionamenti tali risposte saranno state raggiunte. Certo se il metodo fosse di nominare qualche ennesimo (presunto) super-esperto come Commissario straordinario per l’emergenza che semplicemente copra con la sua (pretesa) competenza tecnica una decisione politica presa senza esplicitarne i criteri, l’idea mi parrebbe pessima.
    Beninteso, non ce l’ho davvero coi tecnici o con la politica che, in decisioni come queste, si rivolge a degli esperti per capire quali decisioni assumere; penso anzi che sia l’unica strada sensata in questo momento. Dico solo che, con questo momento di maggiore calma dove la situazione parrebbe un tantino migliorata, è forse arrivato il momento in cui anche gli esperti comunichino quali sono i criteri e i dati che guidano le loro valutazioni, soprattutto se la politica pensa di appoggiarsi ad essi per decidere come affrontare la situazione.
    Penso che sia uno sforzo che debba essere fatto e fatto anche abbastanza in fretta, prima che la discussione si risolva in una rincorsa a quello che fanno da altre parti e al perché noi non facciamo altrettanto, meglio, più in fretta e via dicendo.
    Lo scrivevo già prima: è possibile, anzi probabile, che non si possa adottare lo stesso protocollo dappertutto e che in certe zone (o per certe professioni, per certe fasce d’età etc.) le restrizioni debbano restare per più tempo e magari con maggiore intensità.
    Sono però convinto che, mentre nella fase iniziale di questa emergenza si poteva legittimamente richiedere fiducia e obbedienza anche rispetto a misure molto rigide in virtù di un principio di precauzione (per cui andava bene anche una misura non proporzionata, purché efficace), adesso si debba lentamente tornare verso una normalizzazione del processo decisionale. Pubblicizzarne i parametri e consentirne così la comprensione, il dibattito ed eventualmente anche la critica dovrebbe essere il primo passo.

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