minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 35

Trentacinque. Persino con gli zombi erano 28 giorni e dopo si usciva, qui no, andiamo avanti. Vigilia di pasqua con un caldo e un sole quasi fastidiosi, visti da dentro casa, fuori vedo passare spesso il drone dei carabinieri che controlla i parchi e gli accessi alle colline: non è inusuale che qualcuno si alleni di notte – accade anche in tempi normali – e allora il drone accende il faro, si avvicina e fa partire la sirena. Già, inquietante. Anche le sirene: non ne possiamo più di sentire le sirene delle ambulanze, qualcuno ha giustamente proposto che, a cose finite, si cambi il suono per un po’, per fare una pausa. Ci sono stati giorni in cui erano incessanti, segno di una pandemia galoppante, e ne conserviamo un ricordo non piacevole. E se non sono le ambulanze è l’elicottero, se non è quello sono le volanti, insomma non è che si stia un gran bene, devo dire. A guardarla con occhio oggettivo.
Conte apre timidamente dal 14, Fontana in Lombardia richiude: colpiscono l’immaginario le librerie e qui le battute vengon facili, trattandosi di leghista. Meglio chiusi che aperti, comunque, viste le già citate voglie di confindustria di riaprire il più possibile. Alcune industrie grosse riapriranno da martedì, avendo raggiunto un’intesa sindacale per il venti per cento dei reparti produttivi seguendo le norme sanitarie. Gli altri, più avanti; sarà difficile che le piccole imprese o gli uffici di servizi possano raggiungere una situazione analoga, lì le cose saranno più difficili e lunghe. Anche la situazione trasporti è pencolante, vien da sorridere se non fosse triste vedere l’offerta dei treni ad alta velocità: un treno al giorno da Milano a Roma, quasi regalato, e uno al giorno da Roma a Venezia, il primo Trenitalia il secondo Italo, per non incorrere in pericolose sovrapposizioni. A proposito di Italo: mi arriva via posta elettronica un questionario, come affezionato cliente, per sapere quali siano le mie richieste per i viaggi futuri in tempo di distanze sociali e mascherine, ovvero alla ripresa. Mi farebbe più piacere un kit sanitario consegnato alla partenza o i sedili attorno al mio vuoti? Beh, i posti attorno vuoti mi piacevano moltissimo anche quando si viaggiava in tempi normali, per cui sì: quelli. Si può avere anche il vagone senza bambini? Perfetto, grazie. Mi par giusto, comunque, porsi questo tipo di domande fin da ora: la pandemia segnerà, tra i tanti disastri, anche un colpo abbastanza mortale per il trasporto pubblico od omologo, perché se già prima era tutti-in-macchina figuriamoci poi. Meglio, più posti liberi attorno al mio.

Quindi, natale con i tuoi e pasqua… pure. Oggi supermercato semivuoto, miracolo!, niente coda e riesco a entrare e uscire in tempo record, sarà l’effetto della vigilia combinato con l’orario prandiale? Impossibile a sapersi. Ultime consegne prima dello stop dei prossimi due giorni, taglio degli ultimi pezzi di colomba da distribuire, ultima riunione nei quattro cantoni del cortile per decisioni urgenti, poi si ferma tutto. La via crucis con il papa da solo è stato un ulteriore appuntamento con un’immagine potente, un uomo, da solo, in una piazza sontuosa e deserta, i colori scelti alla perfezione, un uomo dicevo che rivolge l’invocazione alla divinità, Natura, quel che sia, per il bene di tutti. Non condivido ma rimango impressionato, quello sì.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 35

  1. Sul discorso di Conte

    La diretta TV conferma di poter regalare, a seconda dei gusti, il bello e il brutto insieme. Protagonista dell’ultima puntata è il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che a un certo punto del suo discorso a reti unificate (https://www.youtube.com/watch?v=1-3w3yK6rnU&t=35s) si toglie un sassolino dalla scarpa e indica espressamente come mentitori Matteo Salvini e Giorgia Meloni, rei (alquanto confessi, aggiungo io) di avere profuso falsità sull’origine del MES e sul suo possibile o probabile uso da parte dell’Italia nel fronteggiare la vicenda sanitaria ed economica legata al covid.
    La questione sottostante, dal punto di vista sostanziale, non mi sembra né troppo complicata, né così interessante: ha ragione Conte. Salvini e Meloni, a scopo di propaganda, hanno lasciato intendere che il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità, detto anche Fondo salva-Stati) – concepito per sostenere con finanziamenti gli Stati membri in difficoltà finanziaria a patto che essi si impegnino a un piano di rientro (condizionando dunque le relative politiche di spesa) – sia cosa recente e che l’attuale Governo, colpevolmente, la voglia utilizzare per contrastare la futura crisi economica. Ebbene, come osserva Conte, il MES non è creatura recente o connessa a questo Governo (la sua approvazione risale al 2012) e peraltro questo Governo si è sempre espresso, anche nelle sedi europee, in senso contrario al suo utilizzo – per lo meno nella sua struttura originaria – quale efficace contromisura rispetto alle conseguenze europee e nazionali del covid. So bene che la vicenda è più complicata di così, ma questo riassunto mi basta per andare avanti.
    Dunque, da quanto ho appena scritto, Salvini e Meloni mentono, mentre Conte dice la verità asserendo che essi mentano. Tanto basta per ritenere chiusa la faccenda? Credo di no. Non soltanto, di fatto, ne è scaturito il consueto polverone (se leggo un’altra volta su qualsiasi giornale che l’opposizione “insorge” mi metto a urlare!), ma perché a livello ideale la questione non si esaurisce riscontrando la verità di quanto asserito da Conte.
    O meglio: finiscono con l’accertamento della verità quando interessi solo quello. Ma spesso non è così, e non solo per questioni di rilievo politico, ma anche nella vita di tutti i giorni, dove per giudicare una affermazione non ci si limita a valutarne la verità, ma si valutano pure il modo e le circostanze in cui tale verità è affermata.
    Spiattellare la verità al moribondo non sempre sarà ritenuto opportuno o indenne da obiezioni soltanto perché gli si comunica un fatto vero. La certezza che una certa persona eserciti la professione più antica del mondo non ci autorizza ad apostrofarla come “troia”. L’insostenibilità scientifica della resurrezione non renderebbe meno imbarazzante il comportamento di chi lo gridasse a gran voce in chiesa durante la liturgia pasquale. E si potrebbe facilmente continuare.
    Anche rispetto al discorso di Conte, allora, si dovrà precisare e distinguere, sia in ordine a quel che davvero interessa, sia dei differenti livelli ai quali quel che davvero interessa può essere valutato.
    Visto che, nel dibattito pubblico, evidenziare le contraddizioni o addirittura le menzogne dei propri interlocutori (o avversari) è una delle basi positive della dialettica politica, di deve anzitutto precisare quello che del comportamento di Conte potrebbe ritenersi discutibile nelle particolari circostanze date.
    A essere contestato, a titolo di comportamento indebitamente “sputtanatorio”, anzitutto, non è in sé la sua affermazione che Salvini e Meloni abbiano mentito, bensì il congiunto operare di tre fattori: (1) la specifica indicazione dei nomi di coloro che hanno mentito, (2) all’interno di un passaggio di una sua conferenza indetta a reti unificate per comunicare alla Nazione sui nuovi provvedimenti in tema covid e (3) non come rappresentante di un partito, ma come Presidente del Consiglio dei Ministri.
    A venire in questione, dunque, non è la possibilità di Conte di dire nelle sedi opportune (a partire da quella parlamentare) “le cose come stanno” e dunque anche di imputare a Tizio o a Caia le proprie responsabilità per aver mentito. Si discute piuttosto la scelta di averlo fatto sfruttando un pulpito che era destinato a comunicazioni di carattere strettamente istituzionale e dal quale peraltro si sarebbero potute dare al pubblico le stesse informazioni sulla posizione del Governo sul MES e sulle falsità diffuse intorno ad esso anche senza approfittarne per una replica di tipo personale. Il punto, insomma, è se Conte ha ragione quando, nelle specifiche circostanze del suo discorso, afferma “questa volta lo devo dire, devo fare nomi e cognomi” e di lì avanti.
    Le risposte che si possono dare a questa domanda, dal canto loro, sono molto diverse a seconda della tipologia di parametri che si adottano per valutare il discorso di Conte, ed è utile tener presente che i relativi giudizi sono reciprocamente indipendenti dal punto di vista concettuale: un conto evidentemente è la liceità giuridica, un altro conto le preferenze (o la partigianeria) personali, un conto l’opportunità politica e un altro conto ancora la correttezza istituzionale.
    La liceità giuridica della condotta di Conte non è a mio avviso minimamente in discussione: non conosco infatti norme costituzionali, legislative o di altro tipo in tutto l’ordinamento giuridico che gli impediscano di comportarsi come ha fatto. Ogni critica articolata a questo livello è pertanto peregrina.
    Quanto alle preferenze personali, esse mi paiono altrettanto poco interessanti, ma per la ragione opposta: ognuno qui ha i suoi gusti e quindi potrà valutare positivamente o meno il comportamento di Conte a seconda del risultato auspicato. Se Salvini e Meloni mi stanno antipatici (in politica il tifo è prevalentemente “contro”), allora dirò che Conte ha fatto bene, nel caso opposto dirò che ha fatto male. Resta il fatto che da tifoso potrò godere (e in questo senso anche apprezzarla) pure della gomitata subita da un giocatore della squadra avversaria, ma da sportivo questo non dovrebbe impedirmi di riconoscere l’eventuale fallo (magari di reazione) come tale.
    Dal punto di vista dell’opportunità politica, il discorso si presta a più valutazioni, a seconda della concezione di politica. Ce ne sono sicuramente alcune di tipo moralistico (l’ismo qui non vuole avere connotazione dispregiativa) per cui il comportamento di Conte sarebbe da valutare positivamente (avendo egli affermato un principio di verità), altre di tipo più marcatamente utilitaristico secondo cui la valutazione potrebbe effettuarsi solo a posteriori, a seconda degli effetti realizzati in rapporto agli scopi (Conte e il suo Governo ne trarranno complessivamente vantaggio politico o il suo sarà un boomerang?).
    La prospettiva della correttezza istituzionale è l’unica in cui la posizione di Conte pare più traballante. Qui infatti è vero che la sua posizione non è assimilabile a quella del Presidente della Repubblica, visto che quest’ultimo rappresenta l’unità nazionale mentre il Presidente del Consiglio è pur sempre a capo di un Governo espressione della maggioranza (parlamentare) e quindi tendenzialmente di una parte. È altrettanto vero, tuttavia, che il Presidente del Consiglio non è soltanto un politico di parte (nel caso di Conte, almeno in origine, non è neppure un politico, ma “l’avvocato degli Italiani”), ma rappresenta anche una istituzione pubblica. Ed è altrettanto vero che nel momento in cui il Presidente del Consiglio indice una conferenza stampa a reti unificate per una grave emergenza nazionale – proprio in ciò giustificandosi la sua temporanea sovraesposizione mediatica, tra l’altro in assenza di qualsiasi contraddittorio – il suo ruolo istituzionale gli impone, o quanto meno gli suggerisce fortemente, di astenersi da qualsiasi forma di polemica politica personale.
    Dal punto di vista istituzionale, il confine (tra correttezza e scorrettezza) che Conte potrebbe aver attraversato togliendosi il proverbiale sassolino dalla scarpa mi pare sia proprio quello costituito dalla menzione dei nomi, e non semplicemente la posizione “apocrifa”, di Salvini e Meloni.
    Poco male, si dirà, magari anche sulla base di tutti gli altri parametri con cui il discorso di Conte può essere valutato. In fondo, alla fine ciascuno di noi può effettuare anche una valutazione complessiva, che tenga conto di tutti i piani, dando un peso a ciascuno di essi. L’importante sarebbe soltanto di non barare e qui mi limito ad un’ultima domanda: se lo stesso comportamento di Conte, da Presidente del Consiglio, l’avesse avuto Salvini, avremmo avuto la stessa reazione? (Tutto sommato sono contento di non dover rispondere ora).

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