minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 25

È il primo aprile, il che vuol dire scherzi. E lo scherzo migliore lo fa l’INPS che decide di cominciare oggi ad accettare le domande per «l’indennità da 600 euro che spetta agli autonomi come bonus di marzo per i mancati guadagni dovuti all’epidemia» (questo lo so perché riguarda me) e altre agevolazioni che non so (perché non riguardano me). Ma per non farci mancare nulla e per rendere più sagace lo scherzo, l’INPS nei giorni scorsi ha annunciato che i fondi sarebbero stati a esaurimento e, non contenta, erogati secondo l’ordine cronologico di presentazione della richiesta. Comportamento atteso? Forse una fila virtuale disciplinata e gentile? Esatto. Come prevederlo, d’altronde? A mezzanotte tra il 31 e l’1 il sito è già offline. In tilt completo. E peggiora. Naturalmente domani il presidente parlerà di un attacco hacker, inverificabile, ma l’evidenza sta proprio lì: l’insipienza nella comunicazione crea il caos. La coincidenza è che io sto facendo un’altra cosa e non ho sonno, quindi alle due e rotti, prima di andare a letto, decido di fare un tentativo e, spingendolo a mani nude, il sito risponde e lentissimamente mi fa fare quello che devo: la richiesta. Vado a dormire immaginando già il domani. Infatti, un casino: il sito è completamente andato e non basta: entrando, rende visibili i profili altrui. Una meraviglia che nemmeno i più fantasiosi. I fresconi, tra l’altro, non hanno tenuto conto che il sito serve anche ai patronati, ai CAF, e a un sacco di persone ed enti per lavoro i quali, ovviamente, stanno fuori come tutti. INPS chiaramente rettifica, spiega che le domande si potranno fare con calma e che, ahinoi, c’è stato un attacco hacker. Gli hacker se la ridono perché l’INPS, stavolta, ha fatto davvero tutto da sola.

Fuori c’è la primavera, maledetta, oserei dire indifferente. Le misure di contenimento sono state prorogate fino a dopo pasqua, questo era ovvio, visto che sarebbe stato il delirio. La stanchezza comincia a regnare sovrana tra le persone che sento, anche quelle organizzate che non conoscono la noia, tra cui me medesimo. Succede un mezzo casino per una dichiarazione non chiarissima del ministero dell’Interno che lascia intuire che si possano fare passeggiate con i bambini. Putiferio, sensatamente l’autorità chiarisce ma i genitori, come spesso accade, fanno menella. E io posso dirlo? Ma chissenefrega della passeggiata dei bambini, teneteli a casa e bon, come fanno tutti. Siete autorizzati a fargli fare il giro dell’isolato e non rompete, punto.
Ho un’urgenza e, come tale, ho il diritto all’uscita, all’autocertificazione che ormai non faccio più, al giro fuori: devo lavare lenzuola, asciugamani e biancheria. Perché non ho la lavatrice. La borsa parla da sé e se presentata al vigile darà la misura, inequivocabile, dell’urgenza. Vado alla mia lavanderia automatica preferita, incredibilmente sono da solo, faccio il mio bucato, lo asciugo, lo piego nella perfetta e meravigliosa solitudine dell’atto di riportare le cose alla situazione iniziale. La mia quarantena, da questo punto di vista, riparte dal giorno 0 (zero).
Wimbledon è stato cancellato, capisco il trauma di Federer ma è un po’ capitato a tutto lo sport in generale, olimpiadi incluse e il campionato di basket italiano, che mi vede abbonato, pure. Quindi, perdita secca anche economica, non solo di svago. Lo sport è talmente kaputt che ora è possibile scommettere online sul meteo, per esempio se ci sarà il sole a pasquetta. Ma non solo, è possibile scommettere anche sugli ascolti tv. Eh sì. Io scommetto che ’sta roba del virus sarà una bella menata.
Vinto?

Poi le bambine mie vicine mi portano un pescie d’aprile, scherzo nello scherzo, e mi fanno un gran regalo. Grazie.

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2 commenti su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 25

  1. Scemenziario nazionalistico

    Una delle tante curiosità del periodo parrebbero essere le ripercussioni di quanto sta succedendo, e di come lo interpretiamo, rispetto al nostro – chiamiamolo così – “sentimento nazionale”.
    C’è chi si sente orgoglioso e non vede l’ora di esporre con fierezza il tricolore sul suo balcone e chi viceversa scuote la testa davanti ai tanti episodi della (presuntamente) tipica “pasticcioneria” italica. E, di conseguenza, c’è chi guarda all’estero con antipatia (“d’ora in avanti, mangio, viaggio, vesto solo italiano!”), talora con autentica insofferenza (“ce l’hanno con noi, ci hanno lasciati soli!”), fino ad “ammainare” in luoghi pubblici la bandiera europea; e chi invece vede quasi sempre nella dimensione internazionale e negli altri Stati un modello migliore, talora addirittura la nostra unica ancora di salvezza nel prossimo futuro (“in Italia non ce la possiamo fare….”).
    L’implicita generalizzazione sulla quale ambedue gli atteggiamenti (di vicinanza o di lontananza) si basano è una convinzione sul genere di “gli italiani sono X” (X sta per ‘capaci’ o ‘incapaci’, ‘onesti’ o ‘disonesti’ etc.), con tutte le conseguenze che in positivo o in negativo se ne possono ricavare. Tanto gli entusiasti quanto gli scettici sembrano condividere l’atteggiamento che consiste nel fare di ogni erba un fascio: gli italiani sono tutti così, o per lo meno lo sono la maggior parte o la componente più significativa e/o caratterizzante.
    Personalmente, ho sempre guardato con diffidenza alle affermazioni che riguardino entità collettive di grandi dimensioni e definire il carattere di un popolo potrebbe essere considerato il paradigma di questo tipo di affermazioni. Eppure, tali affermazioni, pur nella difficoltà di comprendere cosa vogliano dire esattamente, non sono di per sé insensate e talvolta si intuisce che possano trovare anche una sufficiente corrispondenza nella realtà. Il problema qui, secondo me, è specificamente italiano (o comunque più acuto in Italia che non altrove).
    Avendo vissuto sufficientemente a lungo anche all’estero, ho avuto modo di riscontrare che, all’interno di certe grandi linee comportamentali c’è sempre anche lo spazio per sensibili variazioni di carattere individuale. La mia impressione, tuttavia, è che in Italia le oscillazioni individuali siano particolarmente consistenti, al punto da rendere parecchio difficile individuare le grandi linee. Semplificando un tantinello, ci sono troppi eroi e troppi farabutti, mentre nel mezzo si colloca una massa amorfa che nel corso del tempo non è ancora riuscita a sviluppare un modello comportamentale standard. Di certo, in questo, la storica debolezza dello Stato e delle sue varie istituzioni non ha aiutato gran ché, venendo a mancare uno dei principali modelli su cui solitamente nasce l’omogeneità dei valori sociali.
    Il risultato è che, in Italia più che in altri Paesi, mi pare molto esteso lo spazio che viene riempito da valutazioni, scelte e atteggiamenti individuali, non necessariamente egoistici ma alquanto imprevedibili. Da qui anche l’incertezza di questi giorni circa il “come reagirà la gente, l’italiano medio, alla tal richiesta, alla tal norma”. Ecco, “l’italiano medio” è con ogni probabilità un’astrazione molto più sfuggente del “francese medio” o del “tedesco medio” (non parliamo dello “svizzero medio”).
    In queste condizioni, ogni atteggiamento nazionalistico – basato a priori proprio su tale astrazione – mi pare una scemenza ante litteram.

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