minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 9

Oggi c’è più movimento per strada. Devo fare i calcoli o controllare: certo, è lunedì. Giorno lavorativo, comprensibile ci sia più gente in movimento. Che poi, lavorativo… Io ci ho messo poco a organizzarmi per lavorare a casa, documenti, pc, connessione, vpn, cose così, alla fine abbiamo chiuso l’ufficio ormai quasi due settimane fa e tutti a casa, a lavorare. Il problema è che la prima settimana sono saltati tutti gli appuntamenti – consulenze, incontri per lavori nuovi, preventivi eccetera – e la seconda il lavoro è proprio svanito. Puf. Nel senso che non è entrato assolutamente nulla di nuovo. Ovvio, tutto chiuso, nessuno investe o promuove alcunché. Occhei, di buzzo buono esaurisco gli arretrati, aggiungo qualche cadò non richiesto, sistemo cose che son lì da sistemare da un bel po’ e, mmm, niente. Non entra niente.
Che è un bel paradosso, a pensarci: in ospedale e in tutto il settore sanitario non sanno da che parte girarsi, porelli, fanno turni massacranti, travolti dalla marea di ricoverati, lavorano bardati che nemmeno i cosmonauti, e io – come molti altri, direi – sono costretto a casa a domandarmi se guardare una serie tv o sbrinare il freezer. E noi agli arresti domiciliari siamo la maggioranza (in questi giorni silenziosa, sì). Che poi, pensando alle persone investite da superlavoro o da lavoro esposto al contagio in questo periodo, ci sono anche i signori delle consegne di alimentari a domicilio, i dipendenti dei supermercati, i farmacisti, gli addetti alle pulizie stradali (a proposito: sì, adesso sanificano anche le strade ma non è perché il virus si attacca all’asfalto, non si sa bene nemmeno se serva ma le persone sono più tranquille se vedono l’operazione), i negozi di alimentari in generale, le edicole, i tabaccai, tutta la logistica della grande e media distribuzione alimentare, i produttori di mascherine e il signor Amuchina, insomma eccetera. Un sacco di gente. E noi a casa, a trascinarci dal divano alla sedia con una bottiglia di vino in mano, senza ormai nemmeno sapere che giorno sia. Esagero ma non poi tanto. In questo momento, il ministro ha annunciato che da ora basterà la laurea in medicina per essere abilitati, così dovrebbero esserci diecimila medici in più a breve. Bene, fatto bene. Poi a buriana passata ne riparliamo con calma, che il chirurgo che mi opererà vorrei avesse fatto tutto per bene.

Oggi è formalmente il giorno nove dalla chiusura della Lombardia, dò per scontato che i primi giorni non siano stati del tutto utili, ma insomma se da ignorante conto quattordici giorni di incubazione del virus posso immaginare che, diciamo, tra una settimana o giù di lì la reclusione qualche risultato, seppur minimo, dovrebbe darlo. Per ora no, anzi, ieri c’è stato il più alto numero di morti in assoluto dall’inizio dell’emergenza, e un numero di contagiati in calo (complessivamente, qui invece è un disastro, aumentano vertiginosamente). Che vuol dire? Niente, per il momento, significa che i dati sono ancora altalenanti e non sono interpretabili come una tendenza. Occhio a non farsi prendere dalla fretta.

Tornando alla questione lavoro evaporato, è uscito oggi il testo del decreto con le misure economiche di sostegno durante la crisi dovuta al virus, si chiama ‘Cura italia‘, che buffoncelli. E io, ancora una volta, ringrazio il cielo che tutto ciò non sia accaduto un anno fa, con quel governo, quella ministra della salute, e quello là, oltre a tutto. Oggi avremmo l’esercito in strada con proiettili di gomma e idranti. Ancora lavoro: da oggi nella farmacia di fianco a casa mia non si entra nemmeno più: si sta sulla porta o allo sportellino per le notturne e si grida ciò che si desidera acquistare, da dentro fanno le cose e consegnano a distanza. La coda è sulla strada. Noto che le persone, in generale, sono più tranquille se indossiamo tutti la mascherina. Non importa se serva o no, anche in questo caso, sono più tranquille. D’accordo.

E poi è primavera, dura stare in casa. Si vede che scalpitiamo, sono anche ottimi giorni di sole e a parte mattina e notte fa un caldino sempre più interessante.

Ho appena scoperto che la macchina fotografica del mio telefono va in tilt fotografando fiori colorati, come il giallo qui sopra. Una macchia di colore. Ah, ma i cinesi mi sentiranno anche per questo, una volta libero!
Una notizia molto interessante: in una sola settimana l’acqua dei canali di Venezia è tornata limpida. Cioè si vede il fondo. E i pesciolini. E i cd di Rondò Veneziano gettati via. E i mantelli di Casanova. Lo so, roba da non credere. E tutta la situazione inquinamento, satellite testimoniante (abl. ass.), è migliorata di molto. Che bello sarebbe se imparassimo davvero qualcosa da tutto ciò.

I giorni precedenti:
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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 9

  1. Panta rei

    Non avendo mai posseduto l’estro o la costanza, propria del vero a proprio “diario”, nel descrivere la quotidianità, mi rifugio in una riflessione più “intimista”, che caratterizza spesso queste giornate.
    Nell’affrontare varie questioni relative al “che fare?” – nel molteplice senso di “cosa posso fare (secondo il diritto)?”, “cosa è opportuno fare (secondo prudenza e buon senso)”?, “cosa voglio fare (secondo i brandelli residui del mio libero arbitrio)”? – ho notato una fatica decisamente più intensa del solito.
    Non è soltanto perché la posta è più alta, perché c’è un clima di tensione diffusa, perché le decisioni che si prendono spesso non riguardano soltanto se stessi (quel che facciamo si può ripercuotere anche sugli altri, spesso a partire da coloro che ci stanno a cuore), perché la situazione è nuova, perché non si hanno abbastanza dati (sicuri), perché si hanno troppi dati (incerti), perché la nostra capacità di ragionare su problemi complessi è – come frequentemente accade – estremamente limitata e perché – come accade meno di frequente – di ragionare sul tema proprio non riusciamo a fare a meno.
    Ovviamente è anche, anzi soprattutto, per tutto questo.
    Oggi però isolavo dal tutto un elemento, per me significativo e insolito. Si tratta della (mia) difficoltà di accettare la necessità di cambiare rapidamente e quasi continuamente il parametro di giudizio sulle varie questioni.
    Dieci giorni fa avevo considerato un insieme di elementi e risolto che passeggiare per Milano in zone poco affollate era perfettamente ragionevole; adesso, noto che anche la decisione di uscire per camminare o fare una corsetta da solo in una zona deserta (attività senza dubbio consentita dal DPCM: http://www.governo.it/it/faq-iorestoacasa) mi sembra comunque gravosa, tanto da rinviarla. Maggiore inclinazione alla prudenza? Eppure l’elemento discriminante (il pericolo che deriva dal contatto e dalla vicinanza con altre persone) dovrebbe deporre nel senso che la seconda attività sia (oggi) assai più sicura di quanto non fosse (ieri) la prima. Dunque?
    Quando le cose cambiano troppo in fretta per poterle approfondire, è scontato che anche le nostre conclusioni si rivelino più effimere, rivedibili, strutturalmente interlocutorie. Nondimeno, questo eterno ricominciare, spesso senza punti fermi che non siano le nostre sensazioni del momento (che magari ci derivano dal tasso di serotonina o dal video che un amico ci manda su whatsapp) ha un che di logorante.
    Mi scopro persino a desiderare che il Governo o chi per lui mi dia solo precetti (per l’amor di dio, niente raccomandazioni!) o divieti, senza alcun margine di discrezionalità. Ditemi cosa _devo_ fare (o non fare) e non se ne parli più! Poi purtroppo capisco anche che non è una gran bella idea. E siam daccapo…

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