le allegre (insomma…) nonché inutili guide turistiche di trivigante: storie di nazismo e di resistenza a Monaco di Baviera

È possibile passare dalla Repubblica Sovietica di Monaco (Münchner Räterepublik) al nazismo in meno di quindici anni? Sì, è possibile. Perché, come dice il saggio agente K, «una persona è matura. La gente è un animale ottuso pauroso e pericoloso» e così laggente non solo a Monaco in così poco tempo si buttò di là, senza pensarci o pensandoci bene per interesse.
Ma a Monaco questo avvenne in modo particolare – la si potrebbe definire un baluardo del nazionalsocialismo, come buona parte della Baviera, Hauptstadt der Bewegung, la “capitale del movimento” -, il sostegno fu presto massivo ed entusiastico, altroché, e diventò senz’altro la prima città del Führer (Führerstadt). E poi offriva già infrastrutture consone al Terzo reich, come per esempio Königsplatz, un enorme spazio dal nome già adatto circondato da edifici neoclassici e perfetto per le adunanze e per i roghi di libri (sì, il posto è questo, tra gli altri numerosi).

Costruita alla maniera dell’Acropoli ateniese per volere di Massimiliano I di Baviera, per svariate ragioni che non hanno a che fare con quanto vado dicendo ora, Königsplatz fu riconosciuta poi come il luogo perfetto per le manifestazioni pubbliche del nazionalsocialismo. Il che, vista la retorica del luogo e la smisurata pompa, la dice lunga su come le cose non nascano mai d’improvviso ma siano sempre figlie, in sostanza, di ciò che c’era prima.
Comunque, la piazza fu ripavimentata, vennero spazzati via gli alberi, coronata da altri edifici come per esempio il memoriale dei caduti del putsch del 1923 (il Bierhallenputsch, vedremo poi perché), ma io voglio parlare del Führerbau.

Il palazzo di rappresentanza del Führer, appunto, servì tra le altre cose alla firma dell’accordo di Monaco, che permetteva – per farla mooolto breve – a Hitler di risolvere la pretestuosa questione dei Sudeti semplicemente annettendoseli. Quel vecchio ebete e rincoglionito di Chamberlain ritornò in Inghilterra sventolando la bandiera della vittoria (era pronto a giurare che Hitler si sarebbe senz’altro fermato lì, soddisfatto) e fu in quell’occasione che Churchill, sempre brillante, disse: «Dovevate scegliere tra la guerra ed il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra». Profeta anche quella volta, poi nel 1945 a guerra vinta perse le elezioni, anche quella volta per colpa della volubilità de laggente. Ma non devo divagare.
Qui sotto i partecipanti alla conferenza di Monaco poco dopo la firma dell’accordo (la foto proviene da Bundesarchiv, Bild 183-R69173), si notano anche Mussolini, Ciano (noi andiamo in coppia) e Daladier, altrettanto imbelli, e più sotto la stessa stanza oggi (la foto è di Drrcs15).

Ma non solo: il Führerbau servì anche a raccogliere tutte le opere d’arte che i nazisti requisirono in giro per l’Europa. Difficile farsene un’idea. Siccome era comodo, anche il feldmaresciallo Göring decise di ospitare la propria collezione d’arte privata qui, nelle sale del palazzo. Per dare una quantità comprensibile, quando i nazisti occuparono Parigi e requisirono il Louvre, Göring si appropriò di un terzo del patrimonio del museo per la propria pinacoteca privata. Ora: pare chiaro che sì, i nazisti erano soliti mettere la mano alla pistola al solo sentire la parola «cultura», ma la pistola serviva evidentemente a eliminare i legittimi proprietari.
Oggi, meglio, è sede dell’Università di musica e spettacolo.

Ecco, l’università: nel 1942 ormai la nazificazione della Germania era più che completa e i luoghi di istruzione non facevano certo eccezione, al contrario. Nell’estate di quell’anno, un gruppo di cinque studenti di ispirazione cristiana dell’Università di Monaco, la «Rosa Bianca», cui si aggiunse dopo poco un docente, cominciò a diffondere opuscoli in cui invitavano studenti e insegnanti a ingaggiare la resistenza passiva contro il regime nazista, sbugiardandone la propaganda. Nel corso dell’autunno e dell’inverno, furono diffusi cinque opuscoli finché Sophie Scholl, l’unica donna del gruppo, durante la distribuzione del sesto opuscolo decise di gettarlo dalle scale dell’atrio dell’Università, cioè da qui:

Lei e alcuni del gruppo furono visti da un bidello che riuscì a fermare Sophie, chiamando la Gestapo. Dopo alcuni giorni di tortura, Sophie, suo fratello Hans e Christoph Probst furono sottoposti a un processo farsa, di quelli che era solito condurre il tristemente noto giudice Freisler, e furono condannati a morte per decapitazione. Furono rinchiusi nel carcere di Stadelheim, a Monaco, e poi uccisi il 22 febbraio 1943. Il resto del gruppo fu processato e condannato a morte ad aprile, pochi mesi dopo.

Oggi nell’atrio dell’Università un busto ricorda Sophie Scholl – ormai assurta a simbolo del gruppo – e l’azione della Rosa Bianca; nel cortile davanti all’entrata, invece, c’è un piccolo monumento invisibile ai più che, senza didascalie o altro, richiama gli opuscoli distribuiti da quelle persone coraggiose, quasi tutte ventenni.

A fianco della prigione di Stadelheim, nella parte meridionale di Monaco, c’è tuttora un cimitero piuttosto grande, il cimitero della foresta di Perlacher, nel quale furono sepolti i fratelli Scholl e il loro amico Probst. Con un’intuizione cui va reso il giusto merito, la tomba dei due fratelli è ornata da una croce con un unico braccio, unito tra i due.

La foto è di Rufus46 ma la migliore recensione del luogo è di Margit Primus che scrive: «un bellissimo cimitero idilliaco. La tomba dei fratelli Scholl era una questione di cuore (Das Grab der Geschwister Scholl war eine Herzensangelegenheit)». Il bidello che denunciò i componenti della Rosa Bianca, Jakob Schmid, fu poi processato e condannato a cinque anni, nei quali non riuscì mai a spiegarsi il motivo della propria condanna e, soprattutto, il motivo della revoca del diritto al salario. Il giudice Freisler, invece, morì pochi mesi dopo gli Scholl sotto un bombardamento alleato.
“La Rosa Bianca – Sophie Scholl” (Sophie Scholl – Die letzten Tage) è un bel film del 2005 che ricostruisce attentamente gli avvenimenti che ho appena tratteggiato.

Ed eccomi, alla fine, al Bierhallenputsch, ovvero il putsch – colpo di stato – della birreria del 1923: la Bürgerbräukeller, un’enorme birreria di quelle che solo a Monaco e che poteva contenere fino a tremila persone, fu tra il 1920 e il 1923 il ritrovo dei simpatizzanti nazionalsocialisti e fu teatro, appunto, del fallito tentativo di colpo di stato di Hitler di quell’anno.
Da allora, preso il potere, ogni 8 novembre Hitler era solito celebrare nella birreria i caduti in quel tentativo, tenendo un lungo discorso e marciando, il giorno dopo, fino a Königsplatz. Qui sotto una foto proprio della riunione nazista del 1923 (Bundesarchiv Bild 146-1978-004-12A).

Sapendo dell’abitudine di Hitler di celebrare la ricorrenza ogni 8 novembre, nel 1939 un carpentiere tedesco, Georg Elser, organizzò un attentato alla vita del dittatore (ci lavorò per anni): sebbene abbia agito da solo e senza alcun mezzo è senz’altro colui che andò più vicino di tutti a uccidere il Führer.

Nemmeno von Stauffenberg arrivò così vicino e aveva certo ben altri contatti e possibilità. La storia di Elser è davvero straordinaria e l’ho raccontata sommariamente qui, senza riuscire a trasmettere la grandezza di quest’uomo e della sua azione: si fece carico in modo individuale non solo di un’operazione impossibile, peraltro fallendola di pochissimo, ma anche delle tremende conseguenze che essa portava con sé. E così fu.
Elser è senza dubbio una delle persone degne di maggior ammirazione di cui io abbia mai letto o sentito.
Oggi la Bürgerbräukeller non esiste più, fu abbattuta nel 1979 e al suo posto fu costruito un complesso di edifici, il Gasteig, tra cui una sala conferenze e la sede della SIAE tedesca. Eccone una parte:

Una placca ricorda Georg Elser (la foto è di Richard Huber).

In definitiva, Elser, senza studi in college esclusivi o scuole di alta formazione al governo, aveva compreso ciò che Chamberlain e Daladier non compresero mai, cioè che Hitler andava fermato a tutti i costi. E che era necessario agire.
Molte storie che si incrociano, a Monaco come ovunque, tutto sta nel decidere se le si voglia trovare oppure no. E, magari, raccontarle.

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2 commenti su “le allegre (insomma…) nonché inutili guide turistiche di trivigante: storie di nazismo e di resistenza a Monaco di Baviera

  1. Per me le tue guide sono meravigliose, altro che inutili.
    Grazie per avere scritto e condiviso.
    Per favore, resisti e non smettere mai.

  2. Grazie Trostfar, sei gentile come sempre.
    Se ti andasse di interagire talvolta – integrazioni, aggiunte, correzioni, idee suscitate, pareri anche non costruttivi, cose così – ne sarei lieto eccome.
    Una precisazione, forse dovuta: l’aggettivo ‘inutile’ si riferisce alle guide turistiche, e non significa che siano senza scopo ma che le mie sono inutili come guide turistiche, infatti non elencherò mai tutte le attrattive di un posto o spiegherò che sì, essendo a Monaco, è davvero irrinunciabile andare al museo della BMW. Sono guide turistiche inutili perché disarticolate e parzialissime, come in effetti piacciono a me.

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