il Zentralfriedhof Friedrichsfelde Lichtenberg, Luciano ha parlato

Il Zentralfriedhof Friedrichsfelde Lichtenberg è un cimitero di Berlino, piuttosto noto perché ospita il Memoriale dei Socialisti, il Gedenkstätte der Sozialisten, nel quale sono sepolti molti esponenti di spicco del movimento socialista, socialdemocratico e comunista tedesco, tra cui Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. È in questo cimitero che Mies van der Rohe eresse il memoriale per i caduti della rivoluzione spartachista, poi distrutto dai nazisti. Anche Käthe Kollwitz è sepolta qui. Insomma, per dire che merita una visita e, come vado dicendo, anch’io ci sono andato e sono contento di averlo fatto (anche nella mia guida vecchiotta di Berlino). Anche perché a poca distanza c’è quella che fu la sede della Stasi, il museo a essa dedicato e l’archivio dei documenti, ma questa è una storia tutta sua. Bisognerebbe cominciare guardando Le vite degli altri, film magnifico e terribile proprio su questo.
Ma tornando al Zentralfriedhof, impossibile non andarci dopo la recensione di Luciano, che infila due petizioni di principio, una concordanza sbilenca e insieme una valutazione politico-teologica, bontà sua, che da sole giustificano senz’altro la visita all’ameno cimitero.

Come tutti i cimiteri, Luciano lo sa. Socialista, riposa tranquilli.

una cosa cui non avevo mai pensato (righe bianche e nere uno)

Domenica a casa mia, in un quarto d’ora di buriana impressionante che lasciato un tappeto di foglie sminuzzate sul quale si sono adagiati dieci centimetri di palline da golf di ghiaccio, sul quale si è adagiato a sua volta un pino da venti metri, porello, tra le cose danneggiate dalla grandine c’è stata la mia auto. Eh, pazienza, che farci?
Lunedì quando il carrozziere mi ha detto che avrebbe fatto fotografie dei danni, mi sono chiesto come, visto che nelle foto che avevo fatto io non si vedeva nulla, se non i riflessi, nonostante i bozzi siano ben visibili a occhio nudo.
Poi l’ho scoperto e mi è piaciuto. È tornato con un tondo di cinquanta centrimetri di diametro fatto di stoffa tesa a righe bianche e nere. Appoggiandolo sulla carrozzeria e fotografandone il riflesso, là dove ci sono le ammaccature le righe si stortano, a seconda di larghezza e profondità.

E vualà, foto fatte, chiarissime. Complimenti, ingegnoso, davvero non male.

quella linea di demarcazione tra Peter Moore e me

Alla fine di aprile è mancato Peter Moore, a lungo direttore creativo di Nike, negli anni Ottanta, e di Adidas negli anni Novanta, entrambi decenni in cui le due aziende si sono lanciate, o rilanciate, notevolmente. Non per caso.
Moore era grafico, influenzato da Jasper Johns e Rauschenberg fin dagli inizi, disegnò le prime Air Jordan e il logo Wings, entrambe di clamoroso successo ma non le sue cose migliori, a parer mio. Fece poi un sacco di cose, ricordo un poster molto divertente in cui Moses Malone, Moses appunto, nella biblica valle dei palloni da basket guidava il suo popolo, bei tempi in cui ci si prendeva anche un po’ in giro. Prese McEnroe e rifiutò Lendl, «he’s a fucking communist», eheh, proprio no, non è che uno può capirle tutte, anche se disegna da dio. Ma la disfida sul campo fu anche questione di marchi, Lendl se lo prese l’Adidas.
Anche Moore passò alla concorrenza, anzi agli arcinemici, nel 1989 e contribuì in modo determinante al rilancio dell’azienda, ridisegnandone tra l’altro il logo, creando il Mountain che ancora ben resiste.

Chi si diletti o abbia a che fare con le questioni di grafica, ben sa quanto i dettagli facciano la differenza, quanto optare per una soluzione o un’altra renda un progetto valido e duraturo o, al contrario, una boiata pazzesca. Per fare un esempio pratico, io il logo Adidas Mountain di Moore, per mio modo ed esperienza, l’avrei chiuso nella parte superiore in modo diverso, ovvero portandolo alla forma triangolare e inclinando le rette superiori seguendo una linea non tracciata, quella in rosso.

Ed ecco la differenza tra un logo magnifico, il suo, e una schifezza colossale, la mia. Un dettaglio, piccolo ed enorme, che traccia la distanza tra lui e me. O, peggio, li avrei fatti tutti della stessa altezza, inguardabili. Maledetto Moore, hai vinto anche stavolta.
Fece molte altre cose, come i grandi grafici si disegnava i biglietti d’auguri per natale, dipingeva, «There’s a big difference between graphic design and painting. As a graphic designer, you solve your client’s problems. As a painter, communication is personal. The problems to solve are your own», chiaro. Il tocco era inconfondibile anche all’interno di un contesto molto più vivace di quello di oggi, le campagne Nike della fine degli anni Settanta, la geniale «There’s no finish line», erano poetiche ed evocative, ecco quella di Moore che molto si avvicina alla fotografia d’arte, più che alla comunicazione pubblicitaria.

Eh, niente, quella cosa là è purtroppo passata, un clima che se n’è andato. Oggi se il committente fa i mattoni, vuole i mattoni, niente da fare. Le idee poetiche e ispirate non passano, qui bisogna fatturare e il cliente deve vedere i mattoni. E noi gli diamo i mattoni, si discute meno e si va al fondo. È giusto? Ovviamente no, bisognerebbe ribellarsi ogni volta ma i fracassamattoni sono tanti e la pressione esterna è quasi sempre superiore. Ma ci si prova comunque, e riguardare le cose di Moore, tutto sommato, aiuta a rimettersi in carreggiata e ritrovare la giusta spinta antimattone.

instamagnets (Ferragni, trema)

Da anni raccogliamo calamite da frigo, purché brutte. Ma brutte brutte.
Poi, una volta finito il frigo alcuni anni fa, siamo passati al livello superiore: il muro. Condivido il trucco: le monetine centesimine piacciono alle calamite, si attacca la monetina al muro e via, fatto.

Poi, con la costanza che ci contraddistingue e la dedizione ai viaggi, le calamille sono aumentate a dismisura, ora sono più di cinquecento, grazie anche ai produttivi scambi con amici affezionati altrettanto spostati (grazie G. e A.). Il che, in metri quadri, vuol dire l’intera parete della stanza del caffè nel santo uffizio. Il passo successivo, qualche giorno fa, a scopo di ampia e rigorosa documentazione e catalogazione, è stato aprire la pagina instagram.

Nonostante tra i social sia uno tra i più idioti, le cose vanno così di ’sti tempi, amen, comunque la prepotenza Ferragni ha le ore contate.