camouflage

Il camouflage, traducibile con ‘mascheramento’, ‘mimetizzazione’, con etimo incerto supponendo per la forma un passaggio dal francese all’inglese ma, di certo, recente e non più antico di uno o due secoli, è in realtà – e qui proprio non avrei detto – termine militare, prima che figurato. E si intende la pratica di confondersi con l’ambiente circostante, magari con un paio di frasche sull’elmetto a corredo di una mimetica, appunto, del color del fango e delle foglie. La delicatezza del termine, presunta a dire il vero, mi aveva sempre fatto pensare a una qualche pratica settecentesca di trucco o parrucco o che diavolo ne so ma connesso alla moda, intrisa di gentilezza e grazia. Non che anche l’arte del nascondimento, seppur militare, non abbia una certa propria grazia ma non spingerei la cosa troppo in là, altrimenti si finisce in un baleno ai Monty Python militari di ‘E ora qualcosa di completamente diverso’. No, non è quello.
Il camouflage, passando per i camuffi veneziani, ladri che appunto nascondevano le cose, per le stampe camouflage, al Marpat, la stampa mimetica dell’United States Marine Corps, al Vegetato, il pattern ufficiale dell’Esercito Italiano, al glam rock, alle sfilate di moda degli anni Ottanta, alla pop art, insomma ha una storia di una certa consistenza, ancorché non troppo lunga. Oddio, per noi, perché a dire il vero la natura, anzi la Natura, lo fa da sempre, con risultati eccellenti. Anche perché si tratta di vivere o morire, mica si scherza.

Poiché noi, intendo umani, non ne siamo capaci di natura, allora ci vestiamo e copriamo, così da essere meno visibili. In generale, perché se i militari, storicamente, vi si dedicavano all’aperto e in natura, i civili possono anche decidere di nascondersi al chiuso, in ambienti articifiali, magari per essere notati meno. Che so, al mare o a un evento pubblico o in giro, all’evenienza.

Il rischio, naturalmente, è che qualcuno vi si sieda addosso.
Si possono anche nascondere oggetti, come una sedia, un bicchierone, una tortilla/piadina, pezzi di bagno, il caffelatte del mattino. Bastano la luce, l’ambiente adatto e, serve dirlo?, la giusta attitudine.

Alcuni, particolarmente bravi, riescono anche a nascondersi parzialmente, si fanno camaleonti a seconda dello sfondo, come le due donne e l’uomo senza gambe qui sotto.

Negli Stati Uniti c’è una piattaforma di contenuti, Reddit, poco usata da noi ma dalla bazzeccola di 542 milioni di utenti al mese là, che sostanzialmente consente di diffondere, scambiare, commentare e integrare, argomenti e temi suddivisi in sottoaree di interesse. Tra essi, c’è anche chi si occupa di camouflage e, nello specifico, di camouflage involontario, con esiti spassosi. Ecco. L’ultima cosa che conosco, al momento, sul camouflage è la canzone di Stan Ridgeway, che parla di un militare PFC dei Marines in Vietnam e devo riconoscere che, finora, non avessi capito granché del significato, fraintendendo di parecchio il senso del ritornello, uo-o-o-oh, camuflasg. Pensavo, come ho detto, fosse una roba sulla moda, figuriamoci. Dio, troppa roba da sapere.

I Learned The Hard Way

L’ho già detto e ridetto ma per le cose belle vale la pena ripetersi: il 2012 fu l’anno in cui incontrai dal vivo Sharon Jones, a giugno (24) a Francoforte, al Luften-Mouson Arts & Music Festival, e a luglio, il 10, al Magnolia a Milano, all’idroscalo. Furono due occasioni ravvicinate e travolgenti, dal vivo era davvero un’altra cosa rispetto a quella, già trascinante, dei dischi. Non a caso veniva paragonata a James Brown per la carica sul palco.
Comunque, ho trovato stamattina per caso un concerto del 2010 completo e di qualità che si avvicina abbastanza a quelli che ricordo io, per scaletta, era il tour di I Learned The Hard Way, composizione della band e tipo di suono, nonostante sia al chiuso e più intimo, al Crossroads Festival di Bonn. Per chi ne avesse voglia, condivido, in assenza purtroppo di concerti reali.

Già apre fortissimo al minuto due con When I Come Home, fa addirittura il treno sul palco, quasi una messa gospel laica trascinante. Irresistibile e non calava mai di intensità.

confluenze: 12

Quest’estate ero placido alla confluenza tra Reno e Mosella – pare un’altra vita – e facevo considerazioni confuse sui fiumi, le loro anse, le città sui fiumi. E le città su due fiumi. O tre. E su una panchina tedesca mi ero messo a elencare a memoria le città costruite su confluenze che mi venissero in mente. Lo sforzo è stato quasi vano, pochine, allora, tre o quattro. Poi, man mano, me ne vengono in mente altre e qualcuno mi ha dato anche qualche suggerimento.
Ieri sera pulivo l’argenteria e, come accade quando lo faccio, ne ho trovate altre tre: Mannheim che sorge proprio dove il Neckar si getta nel Reno; la più difficile Kaunas, tra Nemunas e Neris; Magonza, all’incontro tra Reno e Meno – bisticcio! Kaunas ha un’altra particolarità che meriterà post apposito.

Mannheim
Kaunas
Mainz

Aggiornamento grazie alle mie pensatone e ai contributi ricevuti:

Confluenze di tre fiumi:
– Passau: Danubio, Inn e Ilz

Confluenze di due fiumi che ne generano uno nuovo:
– Pittsburgh: Allegheny e Monongahela generano l’Ohio
– Ponte di Legno: Narcanello e Frigidolfo generano l’Oglio (sub iudice, i primi due sono torrenti)

Confluenze di due fiumi:
– Belgrado: Danubio e Sava
– Bressanone: Isarco e Rienza
– Coblenza: Reno e Mosella
– Kaunas: Nemunas e Neris
– Lione: Saona e Rodano
– Magonza: Reno e Meno
– Mannheim: Reno e Neckar
– Treviso: Sile e Botteniga (sub iudice, il Botteniga è lungo due chilometri)
– Washington: Potomac e Anacostia

Sono anche lieto di constatare che mi manca solo Pittsburgh, in saccoccia. Se mi liberaste, io andrei avanti con il mio lavoro…

e la Ever Given?

Una volta sbloccato il canale, è calato l’immancabile disinteresse sulla vicenda della Ever Given – chiamata ‘Evergreen’ da tre quarti di pianeta -, la nave che aveva ostruito il canale di Suez intraversandosi.

Ma ci sono un paio di aspetti interessanti da considerare. La prima è che la nave, adesso, invece di far fumare il camino felice là in fondo al mar, è ferma nei Laghi Amari, poco più a nord sempre nel canale di Suez. È ferma perché le autorità egiziane l’hanno di fatto sequestrata, chiedendo un miliardo di dollari come risarcimento danni alla casa madre. Suona un po’ come un riscatto, e quello in sostanza è.
Qui sotto la posizione attuale, ferma.

Dunque, marinai e capitano, dopo giorni passati a sentire gli insulti di centinaia di navi in coda, ora stazionano senza scopo. Se avete ordinato kiwi o batterie dall’oriente e non arrivano, sapete plausibilmente dove siano ora.
L’altro aspetto interessante, rimarchevole, è che prima di stoppare il canale la Ever Given, in attesa del proprio turno per entrare, zonzolava al largo di Suez. E di qua e di là, visto che la traccia è segnata dal GPS, il capitano ha ben pensato di fare un disegno. E, come di solito fanno gli aerei in attesa dell’autorizzazione all’atterraggio, hanno disegnato un enorme pene, leggibile dalla traccia. Un cazzone, in gergo specialistico.
All’inizio si pensava fosse stata un’altra nave e, invece, no: Ever Given. E qui la vicenda assume davvero sfumature di quella ricca scemenza che permea molte delle attività umane.

Dalla traccia, comunque, si evince chiaramente che il capitano la nave la sapeva guidare eccome. Perché provate a farlo con una portacontainer di quattrocento metri, provate.

Cazzoni a parte, sull’argomento il signor C. mi segnala in tema un’intervista a Sergio Bologna, uno dei maggiori esperti italiani di logistica e trasporti marittimi: “L’incidente di Suez e la fabbrica del mondo“. Complicata come complicata è la questione ma se si vuol saperne di più, serve lo sforzo.

almanacco dei sette giorni, per figliuoleggiare (21.14)

☀ Cominciamo con il fatto storico: in Italia è stata abolita la censura, almeno quella cinematografica. Mica poco. Ora i film non potranno essere tagliati o esclusi dalla proiezione. Se qualcuno fa spallucce, significa che sa proprio pochino. Basti dire, qui, che Bertolucci per ‘Ultimo tango a Parigi’ non solo fu censurato ma perse anche i diritti civili – votare, per capirci – per anni. Per me e per molti, è una cosa epocale, il principio che una ristretta commissione di bigotti rinciuliti non possa più metter becco nelle opere cinematografiche a me dà grande sollievo. Qui qualche contenuto al riguardo. Certo, potrebbe obiettare qualcuno, se poi non esistono più i cinema… eeeeh, già, altro problema serio.

✘ L’11 aprile, a Mezz’ora in più su Rai 3, Nicola Zingaretti – ex segretario del PD – ha detto che la cosiddetta “variante inglese” è «40 volte più contagiosa» di quelle già in circolazione. È vero che la variante inglese (Voc-202012/01 o B.1.1.7) è più contagiosa e lo è, però, tra il 30 e il 75 per cento, a seconda dei metodi di calcolo utilizzati. Secondo quanto detto da Zingaretti lo sarebbe del 3.900 per cento ed è evidente la sciocchezza detta. Vorrebbe dire, in estrema sintesi e senza gallerate, che una persona in media contagerebbe altre quaranta persone. E se così fosse, noi saremmo belli che fottuti, per dirla tenue. Però, perdio, se almeno i sinceri democratici stessero un po’ più attenti a quel che dicono in tema di pandemia, non si andrebbe ad aggiungere patema agli allarmismi e alle notizie false sparsi a piene mani dal centrodestra. È chiedere troppo? Secondo me la precisione e la correttezza nell’informazione dovrebbero far parte del bagaglio di ogni persona retta, ancor più se di sinistra. Ecco, l’ho detto.

☀ Ancora sulla pandemia: Tre lezioni positive della pandemia, un bell’articolo di Zeynep Tufekci, pubblicato sul The Atlantic, rivista americana. Nessun ottimismo inutile, merita segnalazione. E lettura, se possibile.

✘ In Brasile, a Encantado, nel sud del paese, qualche matto patocco sta facendo costruire una statua del redentore ancor più grande di quella di Rio, cinque metri di altezza in più. Vabbè, la cosa però interessante non è tanto che sia finanziata con donazioni di privati e aziende, e già uno si chiede, quanto più il costo previsto: 350 mila dollari. Mica tanto per una sboldronata così, mica tanto. Cioè: sarebbe troppo poco, costasse di più a certa gente non verrebbero queste idee malsane. Ma, visto il costo, sto accarezzando l’idea di finanziarne una qui, ma non di Gesù. Adesso ci penso seriamente, se di Andrea Pazienza o Libero Grassi o di una megabanana o del primo sciatore marocchino alle olimpiadi, si accettano idee brillanti.

☀ Gli Who ripubblicano ‘Sell out’, il loro disco del 1967 concepito come una trasmissione radiofonica, con tanto di spot intramezzati alle canzoni, uno dei quali era “Heinz Baked Beans”, un altro lo strepitoso “Odorono”. Le prime 1.967 copie del disco, in versione deluxe, saranno corredate da una lattina vera e propria di fagioli, prodotta appositamente. Le lattine saranno autografate dagli Who viventi e il tutto sarà devoluto in beneficienza. Ben fatto. I fagioli Heinz si trovano, invece, regolarmente al supermercato, autografati al massimo dal commesso.

☀ Per qualche giorno sul sito di Gallimard (il più importante editore francese, per chi non avesse mai masticato Queneau) è apparsa la scritta: «Date le circostanze eccezionali vi preghiamo di rimandare gli invii. Prendetevi cura di voi e godetevi la vostra lettura». Significa: abbiamo capito che siete chiusi in casa e avete colto l’occasione per scrivere il romanzo del secolo ma noi siamo sommersi e, mediamente, ciò che ci inviate fa schifo al cavolo. Perché, invece di scrivere, non leggete un po’ di buona letteratura? Magari Gallimard?

◼ È scomparso Gianluigi Colalucci, restauratore e accademico italiano che dal 1980 al 1995 diresse i lavori di restauro della cappella Sistina. Le polemiche furono forti, perché fu molto forte il contrasto tra la cappella com’era, coperta di fuliggine e nero di secoli di conclavi, torce e visitatori, e come apparve subito dopo il restauro, splendente di colori, per i critici, troppo vivi. Colaucci, che doveva essere uno con le spalle larghe e che non la mandava certo a dire, rispose: «La Sistina è così. Non perché è pulita troppo forte, ma perché è pulita fino al punto da recuperare la pittura di Michelangelo. Punto e basta. Se poi il salto tra com’era ridotta a com’erano i colori di Michelangelo è forte, non è un problema mio». Punto. E. Basta.

☀ Il prossimo street artist da conoscere, magari? Adrian Wilson. Non è nuovo, è solo poco noto da noi, ha lavorato nel campo della fotografia, della pittura, il suo motto è: «le idee non sono niente al di fuori della realtà» e con questo sostiene l’importanza dell’arte di strada, effimera nella propria breve durata. Ha fatto molte cose, in metropolitana piuttosto che fuori, è piuttosto noto per i vestiti fatti di mascherine chirurgiche cucite insieme. Qui sotto un’opera in metropolitana e non si riferisce a Pilippo di Inghilterra, d’attualità, ma a Prince il cantante, ed è una serie.

✘ Il Comune di Roma, ormai prossimo alle elezioni, è allo sbando anche nelle piccole cose. In un video promozionale per la Ryder Cup 2023, un’importante gara di golf che si terrà a Roma, appaiono immagini dell’arena di Nîmes in luogo di quelle del colosseo. Il tutto pubblicato dalla Raggi, non so se la voce metallica che si sente sia la sua. Amen. Inoltre, i bunker dei Savoia e di Mussolini, rispettivamente a villa Ada e a villa Torlonia, chiudono e resteranno senza manutenzione perché il Comune non ha indetto un nuovo bando per decretare chi in futuro dovrà prendersene cura. Per chi non mastica, sono luoghi molto frequentati dai turisti e producono entrate. Amen due. Ormai c’è solo da sperare in un cambio di amministrazione.

◼ Lens Store, che vende lenti a contatto online, ha messo sul proprio sito immagini di sette città cui è possibile applicare dei filtri che corrispondono a difetti visivi, come cataratta, glaucoma, daltonismo e così via, per rendersi conto di come veda una persona affetta da uno di quei disturbi. Secondo me il daltonismo è molto attenuato, chissà. Lo scopo promozionale è chiaro ma potrebbe anche servire a rendere più consapevole qualcuno delle patologie oculari.

Patapum: nuovo sito per il Louvre e tutta la collezione di opere, o quasi, disponibile online. Mezzo milione, cinquecentomila opere. Non bastasse, hanno aggiunto anche le sculture dei giardini delle Tuileries e del Carrousel. Esagerati.

Settimana più dedicata a cose altre, come si vede, sarà che seguo meno le vicende politiche e pandemiche per ragioni di stomaco e di nervi.


L’indice degli altri almanacchi.

oggi qui si festeggiano i cosmonauti

Oh, cosmonauti, cioè quelli che sono stati nello spazio, non come quelle sciacquette degli astronauti che bastava essere candidati. Oggi è il 12, il giorno del cosmonauta, il giorno della festa. Perché il 12 aprile di un sacco di aprili fa Jurij Gagarin, primo essere umano, vide la terra dallo spazio.

Viva l’esplorazione spaziale, viva il progresso umano, viva l’URSS, viva l’umanità, viva la terra, viva A. e L. che hanno deciso di avere oggi il loro anniversario, viva chiunque creda nella libertà. E abbasso l’Avvenire che sostiene in questi giorni delle bestialità sul primo cosmonauta. Si brindi e si riguardino “Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli e “Good-bye Lenin” di Wolfgang Becker, con il commovente tassista-cosmonauta-presidente-Sigmund Jähn.

«Perché la brava gente si somiglia dappertutto»

Sono trentaquattro anni che è morto Primo Levi.

Alcuni interrogativi non sono risolti e non avranno mai risposta, come diceva lui nemmeno chi decide conosce le ragioni della propria, ultima, decisione. Ciò che importa, ora, è che manca, e l’unica cosa è ricordarlo e, soprattutto, leggerlo. Lo dico ancora una volta: fatevi un regalo, un regalo vero e grande, leggetelo. Non solo ‘Se questo è un uomo’, anche tutto il resto, cominciando magari da ‘La chiave a stella’ o dai racconti. Perché vi assicuro che non è quello che vi hanno imposto a scuola, è molto molto di più. Mi ripeto, ancora: una fortuna, averlo avuto.

minidiario scritto un po’ così delle cose recidive, ovvero perseverare nella pandemia: aprile, «alcune centinaia», un paese di settemila persone, questioni di coscienza?, la nostra ingratitudine

«Smettete di vaccinare i giovani». Questo è Draghi ieri. Perché da quando le vaccinazioni hanno cominciato a procedere a un ritmo decente – decente, oddio, ben al di sotto dei proclami tromboni degli ultimi mesi ma di sicuro anche delle attese un po’ più misurate – il gioco è stato quello della misurazione del peso specifico delle categorie professionali e degli ordini: le spinte lobbiste di avvocati, giornalisti, docenti universitari, dirigenti di aziende sanitarie e non, sacerdoti, commercialisti, hanno prevalso in larga misura sui principi sanitari, che avrebbero suggerito di vaccinare i soggetti più a rischio prima.
Ed è andata così che gli ottantenni sono rimasti indietro. Ma indietro per davvero: tre giorni fa l’immorale Bertolaso, in pubblica conferenza stampa, dava istruzioni suggerendo ai vecchietti rimasti fuori dall’abominevole sistema di prenotazione di Regione Lombardia di recarsi in un centro vaccinale qualsiasi senza appuntamento, assicurando tutela e vaccino. «Sono alcune centinaia», diceva l’improvvido, figurando facili disbrighi e carinerie sotto i tendoni. E infatti: gli ottantenni e ultra solo in Lombardia sono qualcuno in più, centottantaduemila. 182.000. C-e-nn-tott-a-nt-a-due-mmila. 606 volte «alcune centinaia», per dire. Il che significa, in fatti molto poveri, persone che accompagnano uno o più ottantenni in centri vaccinali a caso e che cercano di racimolare gli avanzi delle fiale del giorno. Con il rischio, ovvio, di non ricevere nulla, attendendo ore spesso all’aperto – e in questi giorni tira un vento gelido mica da poco – e senza alcuna certezza. Si fa così? No, non si fa così. Non è incompetenza, lo sarebbe se uno dicesse cinquecento per mille, ma dieci su diecimila è malafede, disinteresse, immoralità.
«È assurdo che si vaccini uno psicologo di 35 anni», diceva sempre Draghi ieri, dimenticando però che lo piscologo di 35 anni è per la legge un professionista sanitario e che in base al suo proprio decreto di Draghi non potrebbe lavorare se non vaccinato (Decreto Legge 1 aprile 2021, n. 44), ma non importa: è rilevante il principio che sta dietro alle parole, cioè procedere per indicazioni sanitarie e non per privilegi di categoria. La faccenda, tra le varie ragioni e oltre a un certo vizio nazionale radicato di saltare sempre la fila e di guadagnare i posti migliori a discapito degli altri, è cominciata anche a causa di AstraZeneca e del suo vaccino Vaxzevria. Poiché prima era sconsigliato agli anziani e l’Italia aveva puntato in modo massiccio su quello rispetto agli altri, avendone maggiormente a disposizione si è pensato di procedere con le persone più giovani. Sensato, se non fosse che non si è iniziato dai cosiddetti ‘soggetti fragili’, malati, operati, persone con patologie autoimmuni e così via, soggetti essenziali per lo svolgimento della vita comune, no, si è preferito andare per categorie, come detto. Poi AstraZeneca, continuerò a chiamarlo così, è stato sospeso, poi si è sospettato di alcune trombosi correlate, poi è stato sconsigliato per le persone con meno di sessant’anni (trenta in altre parti d’Europa, anche qui viva l’Europa unita). Allora capovolgiti mondo, i vaccini più disponibili sono per gli anziani e, quindi, partono in tromba le prenotazioni per le fasce 70-79, avanti. Ah già gli ottantenni, quelli niente, come ho detto prima, perché sono «alcune centinaia», si infratteranno negli interstizi. Ma le proporzioni non cambiano, almeno finora, le persone anziane in via di vaccino sono ampiamente meno della metà del totale, ancora. Il che ha un costo quantificabile, molto preciso, e non è un ritardo nella consegna di una pratica burocratica, che avrebbe poco effetto, qui il costo sono i morti. Oltre settemila, qualcuno ha calcolato (la Fondazione Gimbe), settemila persone che sarebbero ancora vive se si fosse proceduto per età nelle vaccinazioni. Chi ne risponde?

Il signore qui sopra, nell’immagine, paziente che si sottopone a una terapia discutibile per la cura delle emicranie a inizio Novecento, ben rappresenta come mi sento io in questo periodo. Il signore con il martello non è, però, la pandemia o il covid, che ne avrebbe ben ragione, ma l’amministrazione, il governo (con la minuscola, nel senso di chi è preposto a prendere decisioni e stabilire un criterio), la Regione (maiuscola, intendo la Lombardia), chi ha compiuto molte delle scelte deleterie dell’ultimo anno. L’incudine è la pandemia, le due signore che assistono partecipi ai lati, potrebbero essere la personificazione delle cose che mi aiutano a stare a galla, che so?, gli amici e qualche parente, il minidiario, i libri, la musica, il vino, l’aria aperta, camminare.
Draghi, sempre ieri, ha posto una questione che, a sua volta, mi ha posto di fronte a una domanda. Ha detto: «Con che coscienza un giovane si fa vaccinare sapendo che lascia esposta una persona che ha più di 65 anni o una persona fragile?». Il che, a discesa, presuppone che una persona giovane, chiamata al vaccino per appartenenza a qualche tipo di categoria ritenuta essenziale o prioritaria, se dotata della coscienza di cui parla Draghi, avrebbe dovuto non presentarsi all’appuntamento. Difficile. Io non so cos’avrei fatto, sono certo che avrei fatto molta fatica a rinunciare, soprattutto se attorniato da un mondo che si comporta in altra maniera e va in un’altra direzione. Ma non è una giustificazione, penso sia una questione mal posta, sinceramente. La somministrazione dei vaccini e il fronteggiare una pandemia, o un’emergenza in generale, non sono questioni da lasciare alla coscienza personale bensì a chiare e precise direttive comuni: o puoi o non puoi, con i condizionali del ‘potresti ma non dovresti’ non credo si vada molto lontano. O, meglio, le pulsioni alla propria protezione sopravanzerebbero in innumerevoli casi quelle rivolte al prossimo, non c’è dubbio. Forse si può approfondire.
Per chiudere, due cose. Prima, ho provato grande sollievo al buon esito di quattro prenotazioni per la vaccinazione di persone a me vicine, tutte oltre i settant’anni, vedremo poi come andrà all’atto pratico, e una certa qual soddisfazione nel constatare il buon funzionamento della piattaforma di registrazione fornita da Poste, in sostituzione di quella scellerata di Aria di Regione Lombardia. In barba alla nomea di Poste, il sistema informativo è degno di un paese civile e normale, cosa che in me causa ancora stupore. È giusto riconoscere anche i meriti, talvolta. La seconda è questa: un anno fa avevamo (avevo, anch’io) salutato con gioia e riconoscenza i cinquantatré operatori sanitari, medici e infermieri, cubani che erano venuti a titolo gratuito ad aiutarci nella fase critica della pandemia. Come gli albanesi e chiunque fosse poi venuto in nostro soccorso. Mentre i trenta medici albanesi, però, li avevamo mandati via, alla fine, con una bella denuncia per disturbo della quiete pubblica, perché avevano osato festeggiare la fine della loro missione, i cubani li abbiamo ringraziati così: l’Italia ha votato contro, nei giorni scorsi, una risoluzione presentata al Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu che chiedeva la fine dell’embargo nei confronti del paese caraibico, votando al fianco di Israele, Stati Uniti, Polonia e Gran Bretagna. Per carità, si tratta di due cose diverse, parliamo di ambiti differenti, non sono… Davvero? Perché la risoluzione affronta una questione significativa in questo senso, ovvero parla di «grave preoccupazione per l’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sui diritti umani mettendo – in sintesi – in relazione diretta le sanzioni economiche con la sopravvivenza e il benessere di milioni di esseri umani», e son ben sessantun anni di embargo in questa direzione. Sopravvivenza, come in caso di pandemia. Dopo averli chiamati hermanos de Cuba e celebrati, giustamente, avremmo forse potuto ricordarcene un anno dopo? Magari?


Le altre puntate del minidiario scritto un po’ così delle cose recidive:
26 ottobre | 27 ottobre | 29 ottobre | 1 novembre | 3 novembre | 4 novembre | 6 novembre | 8 novembre | 11 novembre | 14 novembre | 18 novembre | 21 novembre | 25 novembre | 30 novembre | 4 dicembre | 8 dicembre | 12 dicembre | 19 dicembre | 23 dicembre | 30 dicembre | 6 gennaio | 15 gennaio | 19 gennaio | 26 gennaio | 1 febbraio | 15 febbraio | 22 febbraio | 24 febbraio | 1 marzo | 25 marzo | 9 aprile |