qualche considerazione sbilenca a margine degli scandali sessuali di questo periodo

Sull’onda degli scandali relativi alle presunte – presunte perché non provate da alcun processo finora – molestie sessuali che stanno dilagando in ogni angolo di mondo, la Sony decide di far girare nuovamente a Ridley Scott le parti con Kevin Spacey del suo ultimo film, sul rapimento di Paul Getty III, con Christopher Plummer al suo posto.
I fatti interessanti della cosa sono: il film era stato chiuso, visto che è in uscita il 22 dicembre prossimo; l’interpretazione di Spacey del vecchio Getty era stata dichiarata “da oscar“, quindi pertinente al film; la riapertura del film comporterà un aumento del budget da 30 a 40 milioni di dollari, perché dovranno essere sottoscritti nuovi contratti con gli attori coinvolti, dovranno essere ricostruite le scenografie eccetera.
Ora: inutile essere sorpresi, penso che chiunque me compreso, avendo investito milioni e subodorando un problema, avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di correre ai ripari per proteggere l’investimento, anche eventualmente rifacendo il girato. D’accordo.
HBO, invece, sta facendo una cosa diversa con Louis C.K., reo confesso di molestie a bassa intensità, visto che sta rimuovendo tutti gli streaming delle sue serie e, non paga, anche di quelle in cui risulta solo come produttore o ne è coinvolto marginalmente. Tutte cose concluse dalla quali non si aspetta certo altri introiti. L’ammissione è di due giorni fa, la cancellazione è in atto. La società di distribuzione The Orchard, invece, ha fatto sapere che non distribuirà più nei cinema il film di Louis C.K., I love you, daddy, in uscita a natale.
Sono solo due casi, ce ne sono altri. Weinstein, per esempio, è stato licenziato – da suo fratello! – dalla Weinstein/Miramax cinque minuti dopo l’uscita delle notizie delle sue molestie nei confronti di numerose attrici. L’avrà scoperto in quel momento, il fratello buono, che suo fratello era un molestatore seriale? Ci avrà pensato bene?
Poi, in Italia: prima girano voci, poi qualche ammissione, alla fine si fa un nome, almeno: Brizzi. Lui risponde e Asia Argento – ormai onnipresente sulla questione e paladina di tutte – twitta:

A parte lo svarione grammaticale, prende una posizione chiara. Intervistata dal Fatto quotidiano sabato scorso dice testualmente: «non conosco Brizzi, non ci ho mai lavorato insieme» e anche qui è game-set-match in un colpo solo.

Ora, lungi da me difendere chicchessia, in particolare da accuse di molestie sessuali, sebbene io continui a credere in un principio di innocenza fino a una sentenza valida: se vale per O.J. Simpson che esce di casa con la pistola fumante, allora vale per tutti. Resto però molto sorpreso, e sconcertato, dalla velocità di reazione in questi recenti casi. È pur vero che in ballo ci sono parecchi soldi, in alcuni frangenti, ma in altri no e il meccanismo di fare terra bruciata attorno a un sospettato di molestia sessuale, arrivando addirittura a cancellarne le tracce pregresse (damnatio memoriae fatta male) è sbagliato per molti motivi: sia perché avviene in situazioni di colpevolezza supposta (sarà anche certa in molti casi, non discuto, ma non c’è ancora processo, ripeto); sia perché, data la rapidità, dimostra che ne erano tutti a conoscenza e che hanno aspettato solo l’evidenza per ristrarsi scandalizzati; sia perché avviene pure in modo retroattivo il che è davvero senza senso; sia perchè – infine ed è una delle cose che mi sta più a cuore – non presenta alcuna coerenza o verosimiglianza di giustizia. Per i preti pedofili – e dico la prima che mi viene in mente – lo scandalo non c’è stato e la reazione non è stata in alcun modo paragonabile. Anzi.
E quindi? Chi deve denunciare, denunci. Chi deve processare, processi. Chi deve stare zitto, sizzitti.

prima un dovere che un diritto

Come potrete immaginare io oggi voglio avvalermi del mio diritto di non rilasciare dichiarazioni in merito allo specifico fatto di cui sono imputato. Tuttavia vorrei porre l’attenzione su quali siano le motivazioni che spingono un giovane operaio originario di una remota cittadina delle Prealpi orientali a venire ad Amburgo. Per manifestare il proprio dissenso contro il vertice del G20. G20. Solo il nome ha in sé qualcosa di perverso. Venti tra uomini e donne esponenti dei venti paesi più ricchi e industrializzati del globo si siedono attorno a un tavolo. Si siedono tutti insieme per decidere il nostro futuro. Sì, ho detto bene: il nostro. Il mio, come quello di tutte le persone sedute in questa stanza oggi, come quello di altre sette miliardi di persone che abitano questa bella Terra. Venti uomini decidono della nostra vita e della nostra morte.
Prima di venire ad Amburgo ho pensato anche all’iniquità che flagella oggi il pianeta. Mi sembra quasi scontato infatti ribadire che l’1 per cento della popolazione più ricca del mondo detiene la stessa ricchezza del 99 per cento più povero. Mi sembra quasi scontato ribadire che gli 85 uomini più ricchi del mondo detengono la stessa ricchezza del 50 per cento della popolazione mondiale più povera: 85 uomini contro tre miliardi e mezzo di persone. Queste poche cifre bastano a rendere l’idea. (…)
E poi, signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, prima di venire ad Amburgo ho pensato alla mia terra: a Feltre. Il luogo dove sono nato, dove sono cresciuto e dove voglio vivere. La cittadella medioevale è incastonata come una gemma nelle Prealpi orientali. Ho pensato alle montagne che al tramonto si tingono di rosa. Ai bellissimi paesaggi che ho la fortuna di vedere dalla finestra di casa. Alla bellezza che travolge questo luogo.
Poi ho pensato ai fiumi della mia bella valle violentati dai tanti imprenditori che vogliono le concessioni per costruire centrali idroelettriche. Incuranti dei danni alla popolazione e all’ecosistema.
Ho pensato alle montagne colpite dal turismo di massa o diventate luogo di lugubri esercitazioni militari. Ho pensato al bellissimo posto dove vivo che sta venendo svenduto ad affaristi senza scrupoli. Esattamente come tante altre valli in ogni angolo del pianeta. Dove la bellezza viene distrutta nel nome del progresso.
Sulla scia di tutti questi pensieri ho deciso dunque di venire ad Amburgo a manifestare. Per me venire qui è stato prima un dovere che un diritto.

Questa è una dichiarazione spontanea, rilasciata da Fabio Vettorel nel corso del suo processo. Fabio ha diciott’anni ed è in una prigione tedesca dal 7 luglio scorso, imputato di tentativo di causare danni mediante mezzi pericolosi e resistenza a pubblico ufficiale, durante la manifestazione contro il G20 ad Amburgo a luglio.
Riporta «Internazionale» nell’articolo che gli ha dedicato: «Non ci sono accuse specifiche relative alla sua persona: si dice solo che non si è allontanato dal gruppo in cui si verificavano azioni violente e di non aver agito per fermare i manifestanti violenti. Di fatto non ci sono testimonianze contro di lui».
È l’unica persona in carcere per quella manifestazione e domani ci sarà l’ennesima udienza del suo processo. Speriamo.
Oh, stronzi, vogliamo rilasciarlo? E quel furrbaccino del nostro ministro degli esteri che fa? Pensa alle elezioni? Lo si processi, magari lo si condanni se ha fatto davvero qualcosa, ma che senso ha tenerlo così?
(Ho scritto al ministero, chiedendo cosa stiano facendo al riguardo).

la lotta al doping? facile

Danilo Di Luca, ciclista vincitore del Giro d’Italia 2007 e poi squalificato a vita per essersi bombato, nel suo libro «Bestie da vittoria» – libro inquietante talmente è cruda la realtà sportiva che racconta – spiega in una frase come si potrebbe facilmente chiudere la questione doping:

“La lotta all’antidoping [sic] sarebbe così facile da fare, si obbligano le case farmaceutiche a mettere un tracciante nei prodotti. Basta, finito tutto”.

Sì, gli è scappato il refusone (“La lotta all’antidoping“, alé) ma il concetto resta valido.

landsleute 1977-1987

Il 9 novembre è l’anniversario della caduta del muro. L’ostalgie, per me, è un sentimento vero che, ovviamente, nulla ha a che vedere con Honecker e la Stasi.
E ci mancherebbe.

Alexanderplatz, Berlino, Germania Est, 1980

Kreuzberg, Berlino, Germania Ovest, 1980

Halle-Neustadt, Germania Est, 1983

Le foto sono di Rudi Meisel e hanno fatto parte di un progetto decennale di fotografia delle due Germanie (1977-’87). La prima in alto è strepitosa, c’è addirittura il signore al centro che fa da inconsapevole muro.