l’orrore per «romanzi che si tramutano in favole menzognere, perché l’autore mette le sue balzane idee in bocca a personaggi storici»

Quando – ehm, finalmente – la sua mamma morì, von Humboldt si sentì libero di lasciare il posto di sovrintendente al Comune di Garbagnate e dare libero sfogo alla sua natura di esploratore, geografo e scienziato, comprandosi l’attrezzatura da scienziato sul campo e partendo per il sud America. Allo stesso tempo, Gauss, che possedeva una mente matematica la cui intensità era inversamente proporzionale alla sua capacità di frequentare piacevolmente gli altri esseri umani, era alle prese con una fastidiosa mancanza di mezzi e con un ancor più fastidiosa arretratezza dell’epoca in cui era nato: da questo la possibilità, puntualmente verificatasi, che un barbiere facente funzioni di dentista sbagliasse il dente da estrarre. Quasi una certezza, per l’epoca, più che una possibilità.

Perché la vita non era facile per uno come Gauss, tra persone di gran lentezza e mezzi scarsissimi, e perché aver scritto il proprio capolavoro a vent’anni, le Disquisitiones Arithmeticae, poi non aiuta il seguito: «non si ricordava di nessuna ispirazione, di nessuna illuminazione. Solo del lavoro». Ma prima o poi dovrà incontrare l’altra grande testa del secolo, von Humboldt, non appena sarà tornato dalle Americhe e avrà finito di studiare qualsiasi cosa incontrata, dai cadaveri alle blatte alle confluenze dei fiumi fino ai crateri: sarà a Berlino nel 1828 ma, si poteva immaginare, non sarà un granché.

Un libro bellissimo, molto divertente e mai noioso, con alcune vette esilaranti come il pellegrinaggio per ricevere la benedizione di Kant, imbacuccato nell’oscurità e un filino, ehm, rincoglionito, un racconto lungo ricco di spunti tra humour, avventura, scienza e filosofia, che fa di Kehlmann un eccellente narratore e uno dei migliori nel campo della storia romanzata. Ma romanzata il giusto, senza inventare inutilmente e dando il giusto risalto alla realtà, che di per sé è più che abbastanza (si noti l’autoironia della frase di Kehlmann che fa da titolo a questo post, pronunciata da von Humboldt nel testo). Uno dei libri più belli che io abbia letto quest’anno e in assoluto, consiglio più che caldamente.

und tuzzun fuzzun kunz!

Impossibile per me non provare nostalgia, ora. Ma uno dei ruoli in cui apprezzo di più Villaggio è l’infido Thorz in Brancaleone alle crociate, che cerca di sopprimere il neonato figlio di re Boemondo.

[Brancaleone] Alemanno! Ma codesto fantino così ravvolto in ricchi panni, a chi è figlio? Eh? E tu? Non a chi tu sei figlio che ben potemo immaginare chi pote essere tua madre, ma di chi tu si ‘l scherano?
[Thorz] Sone mein name ist Thorz. E keinde Mondo. Und tuzzun fuzzun kunz!

Che poi Boemondo era Adolfo Celi, un improbabilissimo normanno che dialogava in un buffo siculo semi-incomprensibile: Nì tempesta, nì cicluni, ponnu stare a paraguni col tremuoto dellu cori di un regali genitori, che ritrova il suo picciottu che pensava fosse mottu! Bei tempi.

il laboratorio di idee e visioni per il futuro della Regione Abruzzo in Europa

Stando a quello che si vede qui, altro che futuro…

Trovato l’errore? Un passato davvero retrivo e schifosello, ecco come è andata Fonderia Abruzzo, il laboratorio di idee e visioni per il futuro della Regione in Europa, con il ministro alla Coesione territoriale Claudio De Vincenti e il governatore della Regione, Luciano D’Alfonso. Complimenti  vivissimi, retrogradi ritardati. C’è ancora tantissimo da fare. Ma tantotanto.

di una loro particolare bellezza che a me piace

Filini e Fantozzi – si notino le iniziali sulle raffinatissime cravatte – all’inizio della serata al night club “L’ippopotamo”.

Zeppo di prostitute abilissime a dissanguare i clienti, il night era il “Capriccio” di via Liguria a Roma; la scena si concluderà con la memorabile chiamata di un numero impossibile di taxi, una media di due e tre quarti a testa, per riaccompagnare i due, il sordido Calboni e una prostituta pagata con gli ultimi soldi a casa Fantozzi. O, meglio, sullo zerbino.
Bellissimi, entrambi, di una loro propria poesia che, spesso, mi manca.

giudicare un libro dalla copertina #58.206

Con questi due ci sarebbe da andare sul sicuro, per la bellezza delle copertine.

Fatte di niente e per questo eccellenti (ma Bauman non lo leggo).
E, per gradire, una comparazione tra l’edizione italiana e quella americana della bibbia sulle balene: una balenottera, sapevamolo, ha il cervello piú grosso del mondo e un cuore che batte dieci volte in un minuto.

Ma, insomma, quest’ultima era facile. Bastava la balena.
Questa, invece, tanto per chiudere col botto, meno facile e meno elegante ma sicuramente azzeccatissima, è un colpo di genio di Matt Dorfman.